Sperimentazione sugli animali: intervista a Massimo Filippi
Ringraziamo Massimo Filippi per averci concesso questa intervista che pubblichiamo con piacere, certi che i suoi interventi in seno al dibattito sulla sperimentazione sugli animali siano sempre un’occasione importante per affrontare una questione che merita attente riflessioni.
Che si parli di vivisezione o che si trattino altre questioni inerenti all’animalità sembra spesso che non si riesca a superare un dialogo fra sordi che vede il confronto ridotto a sterili slogan.
Da più di un secolo si dibatte sulla questione se la sperimentazione animale sia più o meno lecita eticamente, se essa sia più o meno valida su un piano prettamente scientifico, ma poco o nulla – nei fatti – è cambiato dai tempi del Brown Dog Affair: si è detto quasi tutto ciò che si poteva dire, facendo ricorso anche ad argomenti che dovrebbero avere da tempo innescato un processo di cambiamento, ma che restano nel circuito chiuso del variegato movimento antivivisezionista. Come accade in politica, nelle sedi istituzionali, le tesi contrapposte restano tali; anche dopo estenuanti dibattiti parlamentari, alla fine ciascuno resta della propria idea. Come uscire da questa impasse?
Credo che abbiate toccato due questioni. La prima è che il mondo antispecista nel suo insieme è poco ascoltato dalla società in generale. La seconda è che il dialogo interno all’antispecismo è troppo poco informato e strutturato, troppo naif e fuorviante. Allora, come uscire da queste impasse? Dalla prima, ovviamente, ricordandoci che lo specismo ha avuto almeno 12.000 anni per plasmare strutture economiche e coscienze, ragione per cui dobbiamo continuare a sostenere l’evidente fino a che assuma sufficiente visibilità sociale: gli animali soffrono e muoiono, come noi, e questo sistema di sfruttamento generalizzato dell’“Animale” è insostenibile da qualsiasi prospettiva lo si guardi e va combattuto sul piano politico. Il che, a ben riflettere, risponde anche alla seconda questione: fino a che non saremo in grado di accettare una critica costruttiva, interna al movimento, che permetta di mettere alla prova i nostri argomenti per valutarne la sostenibilità pubblica (le critiche esterne saranno certamente sempre più infide e feroci), continueremo a ripetere dogmi dal vago sapore religioso. Così da un lato rimarremo inascoltati e dall’altro continueremo a perderci in dispute poco fruttuose, se non addirittura dannose. Dispute che certo non faciliteranno l’incontro.
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