Intervista ad Alessandra Colla – di Marco Maurizi

Intervista ad Alessandra Colla

di Marco Maurizi

Fonte: Asinus Novus, 24 novembre 2012

Maurizi: Dunque abbiamo un’infiltrata fascista nel nostro gruppo. Quale migliore occasione per affrontare il problema del rapporto tra antispecismo e destra. Prima però parlaci del tuo percorso personale e politico.

Colla:
Cominciamo dall’inizio, ché solitamente funziona. Famiglia borghese, papà ingegnere, mamma professoressa. Scuole pubbliche. Prima media nel 1968-69, clima agitato, classe turbolenta —ragazzini di 15 anni ultraripetenti, una ragazzina che si prostituiva eccetera. Prof. di lettere bravissimo didatticamente (gli devo molto), ma pedagogicamente forse un po’ meno: ex partigiano, comunista stalinista, poiché ero la prima della classe (“nessun merito, vieni da una famiglia privilegiata: chiunque altro al posto tuo sarebbe il primo della classe”) e di famiglia borghese, quando c’era lui all’ultima ora mi obbligava a trattenermi in classe per svuotare i cestini e rimettere a posto banchi e sedie “perché il collega bidello non è uno schiavo”. Ho cominciato a guardare le sinistre con un certo sospetto.

Ciononostante, crescendo ho sviluppato simpatie anarchiche (anche grazie a un’altra insegnante, pure lei ex partigiana comunista, donna fantastica che ho amato molto e di cui conservo un ricordo splendido). Poi, liceo classico: quarto e quinto ginnasio senza troppi problemi, finché un giorno arriviamo a scuola e c’è sciopero, con tanto di picchetti: io, da bastiancontrario come ero (e sono), mi incaponisco e insisto per entrare; i picchettatori mi acchiappano e mi tirano un paio di cazzotti nello stomaco, allora i “fascisti” della scuola, che erano asserragliati dentro (pochi, più o meno 1 nero contro 7/8 rossi), si precipitano a prendermi e così mi ritrovo con l’etichetta di “fascista”.

Nonostante questo, studio Freud, Marx e i Francofortesi; firmo per l’aborto e ce l’ho a morte con la Chiesa; uno dei capi del Movimento Studentesco del liceo è un mio compagno di classe, siamo in buoni rapporti e mi garantisce tranquillità all’interno della scuola; intanto noi “fascisti” siamo rimasti in tre — io, un picchiatore figlio-di-papà col quale non ho niente a che fare, e un ragazzino più piccolo di me. Tutto fila relativamente liscio fino al caso Ramelli e al massacro del Circeo, entrambi nel 1975 e per entrambi i quali rischio le botte. Le cose precipitano nell’ultimo anno di liceo, ma insomma ne esco bene e vado all’università — Cattolica, perché in Statale non avrei avuto probabilmente vita facile, ma un po’ controvoglia.

Intanto metto piede per la prima volta nella storica sede del MSI in via Mancini, ma non mi ci trovo bene e scappo via sei mesi dopo. Mantengo comunque buoni rapporti personali con parecchia gente di diversa estrazione politica: e nella Milano degli anni Settanta, mentre ci si spranga e ci si spara, io mi concedo il lusso di uscire con anarchici, situazionisti, gente di LC e “compagni” in genere, insieme ai quali cerco di capire se si può aprire un dialogo.

Gli anni passano, prendo la tessera di giornalista pubblicista, mi sposo, mi laureo e mi porto dietro la mia black label neanche fossi un whisky ben stagionato — con tutte le conseguenze del caso. Ormai nel giro della “destra radicale”, alla metà degli anni Ottanta insieme ad altri fondiamo un mensile (“Orion”, uscito regolarmente dal 1984 al 2007) che si prefigge appunto il superamento della dicotomia destra/sinistra per la creazione di un nuovo soggetto politico in grado di affrontare i cambiamenti in corso, nonché la necessità dell’allontanamento dai partiti e dalle loro dinamiche, convinti come siamo che il Fascismo è stato un fenomeno storico conclusosi nell’aprile del 1945, e come tale vada studiato e considerato: tutto quello che viene dopo è “altro”. Abbiamo previsto con qualche anno di anticipo la caduta del Muro e l’implosione dell’Urss; siamo stati i primi a introdurre il concetto di mondialismo (poi diventato “globalizzazione”); i primi a studiare i meccanismi di controllo tipo Trilateral e Bilderberg; i primi a rilanciare lo studio della geopolitica. Abbiamo fatto campagne pro Silvia Baraldini e pro Abu Mumia Jamal. Abbiamo sostenuto l’Intifada e condannato l’imperialismo americano eccetera.

Nel frattempo faccio un sacco di altre cose e continuo a studiare, senza mai smettere di scrivere, tenere incontri, conferenze anche all’estero eccetera. Sulla rivista, fra l’altro, ho curato per anni una rubrica di quella che all’epoca si chiamava genericamente “ecologia”, in cui trattavo di ecosofia, questione animale e tutto quello che cominciava a muoversi in campo animalista. Successo dell’iniziativa? Meno di zero. A riprova del fatto che è inutile preoccuparsi delle infiltrazioni “fasciste” in campo antispecista, perché per definizione nessun “fascista” può essere tale.

Il logo del sito di Orion Libri

Maurizi: Sì, di questo parleremo subito. Come finisce l’esperienza di questa rivista?

Colla: Fra il 2000 e il 2004 la rivista perde quella che era stata la sua cifra caratteristica, ripiegandosi in senso reazionario: e infatti in quegli anni non ci scrivo. Rientro nel 2004 e chiudo in bellezza, direi, nel 2007 con un’edizione telematica. Le pubblicazioni sono state sospese perché ero rimasta praticamente l’unica a sostenere la linea originaria.

Da allora faccio il cane sciolto: in realtà l’ho sempre fatto, e sono sicuramente un’“eretica”. Posso dire di non avere più alcun punto di contatto con l’ambiente della destra, in nessuna delle sue forme o sfumature — fatti salvi, come sempre, i rapporti personali che prescindono dall’orientamento ideologico. Trovo che il c.d. neo- o post-neofascismo si sia dimostrato incapace di contestualizzare, comprendere e rielaborare il Fascismo storico, rivelandosi particolarmente incapace di offrire risposte adeguate agli scenari post-11 settembre.

Alessandra Colla a un convegno di Casa Pound nel 2011

Maurizi: E veniamo allora al punto. Può esistere un antispecismo “di destra” o la cultura di destra ha prodotto e può produrre esclusivamente pensieri ambientalisti/ecologisti in cui l’individuo conta solo come parte di una totalità: la specie (protezionismo), l’ecosistema (ambientalismo), Gaia (Deep Ecology)?

«Può esistere un antispecismo “di destra”?» mi sembra la classica domanda nella quale si cela la risposta: no — almeno a mio avviso, e vedremo perché. Ma prima lasciami aggiungere questo: allo stesso modo potrei dire che non può esistere nemmeno un antispecismo “di sinistra”, per il fatto che tutta la società occidentale nel suo complesso si è venuta formando, nei secoli, come specista: anche se il nome specismo risale, come sappiamo, ai primi anni Settanta del XX secolo, a me sembra che la cosa preceda, almeno a livello inconscio, di gran lunga il sessismo e il razzismo. Se è stato possibile tollerare per secoli discriminazioni pesantissime a livello intraspecifico: le donne non hanno un’anima, i selvaggi sono bestie, negri ed ebrei sono razze inferiori…

Maurizi: Uccidere un “fascista” non è reato…

Colla:
…esatto. Vedi bene che non si salva nessuno. Se è stato ed è così, a maggior ragione è stato e di fatto è ancora possibile considerare i membri di specie diverse dalla nostra come oggetti immeritevoli di considerazione ontologica ed etica. C’è una struttura di fondo, come ha individuato assai bene l’ecofemminismo (il termine qui da noi non gode di molta fortuna ed è ampiamente dileggiato, purtroppo), sulla quale si sono stratificate tali e tante sovrastrutture — paradossalmente provenienti da istanze opposte — da rendere praticamente impossibile il prenderne le distanze.

Dunque mi hai chiesto se può esistere un antispecismo di destra, e io ti ho risposto di no: per il semplice motivo che se l’antispecismo è (uso proprio una tua espressione) teoria e prassi di lotta allo specismo, ovvero a quella visione del mondo che attribuisce un diverso valore e status morale agli individui a seconda della loro specie di appartenenza, è implicito che la destra non può né potrà mai essere antispecista dal momento che fra i suoi valori fondanti figurano identità e gerarchia. Va detto che la c.d. destra, lungi dall’essere un monolito compatto e levigato come quello di “2001 Odissea nello spazio”, presenta invece una quantità pressoché infinita di sfaccettature e sfumature che rendono arduo definire cosa sia la destra oggi (al di là degli schieramenti parlamentari o in chiave elettorale). Comunque, per esperienza personale mi sento di affermare con una certa sicurezza che no, un antispecismo di destra non esiste.

Anche perché tradizionalmente la destra post-fascista non si è mai occupata di certi argomenti: architettura, psichiatria ed ecologia sono stati tre ambiti culturali lasciati volutamente alle sinistre — sulle relative motivazioni potremmo discutere a lungo, ma se sei d’accordo limitiamoci a considerare il dato nella sua fattità, per così dire; e a constatare che il primo timido tentativo d’area realizzato da alcuni membri del Fronte della Gioventù di Roma nella seconda metà degli anni Ottanta, Fare Verde, non riscosse particolare successo nel c.d. ambiente e prese poi le distanze da partiti e ideologie per continuare la sua strada come realtà autonoma. Si trattava comunque di un movimento più propriamente ecologista/ambientalista, anche perché all’epoca in Italia i diritti degli animali (nella moderna accezione promossa da Peter Singer) non si sapeva neanche cosa fossero: nato all’indomani del disastro di Chernobyl, si muoveva in chiave antinucleare e di tutela degli ecosistemi.

Invece esiste, accanto a un ecologismo/ambientalismo di destra, anche un animalismo di destra. Per quanto riguarda l’ecologismo, la radice si individua nel concetto di “sangue e suolo” di matrice nazionalsocialista, così come venne elaborato da Walther Darré: per una trattazione esauriente del quale ti devo rimandare all’ormai classico Ecologia e società nella Germania nazista di Anna Bramwell. Tuttavia cercherò di sintetizzare qui i capisaldi del discorso di Darré: convinto assertore della centralità del contadinato nell’economia e nell’etica tedesca fin dagli albori della storia delle genti nordiche, tanto da individuare un legame poco meno che mistico tra “spirito” (inteso come razza o come popolo, il Volk) e “terra” (l’ambiente naturale in cui il Volk è radicato) come specificità delle popolazioni germaniche (assente, per esempio, fra celti e slavi), nel 1929 pubblica il suo primo libro — Das Bauerntum als Lebensquell der nordischen Rasse, “Il contadinato come fonte vitale della razza nordica”; l’anno seguente, nel 1930, pubblica Neuadel aus Blut und Boden (“La nuova nobiltà di sangue e suolo”), nel quale auspica un “rinnovamento spirituale e razziale” tramite il ritorno all’economia agraria e ai valori di cui essa è portatrice, che avrebbe comportato il graduale distacco dall’industria e il riavvicinamento alla natura; nella seconda metà degli anni Trenta sviluppa quest’idea nel testo Blut und Boden, ein Grundgedanke des Nationalsozialismus (“Sangue e suolo, un concetto fondamentale del nazionalsocialismo”), riprendendo la tesi dell’inscindibilità di quei valori nell’ottica di un maggior radicamento del Volk tedesco nella sua terra, e finendo così per entrare in conflitto col nuovo corso nazionalsocialista, orientato in senso fortemente tecnocratico in previsione della guerra che sarebbe scoppiata di lì a poco. Poiché anche l’Italia ha una tradizione socioculturale marcatamente contadina, l’assunzione delle suggestioni darreane è stata facile e ideologicamente corretta. Inoltre ha fatto e ancora fa buon gioco l’antropocentrismo, in parte di derivazione cattolica e in parte frutto di una visione del mondo prossima al suprematismo bianco e comunque occidentale anglosassone professato nell’Ottocento: come culmine della Creazione o grado più alto dell’Evoluzione, spetta all’Uomo tutelare l’ambiente — sia pure nell’ottica di uno sfruttamento inevitabile (il famoso “sviluppo sostenibile”) da parte della razza/specie padrona, la cui posizione di assoluta preminenza non viene mai e per nessun motivo messa in discussione.

Quanto all’animalismo, sinceramente non so se esistano teorizzazioni compiute di questo atteggiamento (direi di no, a parte il fatto che “Hitler era vegetariano” e “Hitler abolì la vivisezione”) o se si tratti semplicemente di un’inclinazione personale che, però, non mi sembra motivata da nessun tratto ideologico tipico della destra: posso dirti che conosco personalmente alcuni di questi animalisti, e che sarebbero antispecisti da manuale se mettessero da parte l’ideologia. Credo che, al di là delle etichette politiche, quello che conta davvero siano la sensibilità personale e un sincero amore per i viventi; lo stesso vale per gli animalisti cattolici: anche qui, ne conosco alcuni e ancora non ho capito come possano conciliare il loro sentire con l’appartenenza a una religione così oltraggiosamente antropocentrista. Credo che si possa dire tranquillamente che esistono persone di destra profondamente rispettose degli animali e decise a combattere per i loro diritti. Naturalmente parlo qui di persone impegnate fattivamente da anni sul tema, e non di exploit mediatici o interessamenti occasionali privi di echi sul piano concreto.

Permettimi poi di precisare una cosa: tu parli di protezionismo e di Deep Ecology, ma ti posso assicurare che, nel corso della mia permanenza nell’ambiente, posso contare sulle dita di una mano le persone in grado di affrontare questi argomenti. Anche l’originaria ipotesi Gaia di Lovelock e Margulis è sempre stata sottovalutata e in alcuni casi apertamente dileggiata, suppongo più per ignoranza che per altro: e non capisco il perché, dal momento che presenta agganci interessanti con la dimensione del mito così cara alla destra.

Maurizi: Sì, il riferimento in questo caso era a Tom Regan che definisce la Deep Ecology “fascismo verde” ma è chiaro che si tratta di una definizione polemica. Visto che tu affermi di non identificarti più con questa cultura, sapresti anche proporre una critica dei suoi limiti storici e/o intrinseci?

Colla:
Per la verità, non mi ricordo più da quand’è che ho iniziato a rifiutare l’etichetta di destra. Comunque non l’ho mai amata — mi sono sempre piaciute la Rivoluzione francese e quella d’Ottobre, e ho sempre apprezzato l’Illuminismo.

Forse non sono la persona più adatta per individuare, come tu mi chiedi, i limiti storici e/o intrinseci della cultura di destra: la destra è quella che è, sono io che sono cambiata o che sono tornata ciò che ero (aulicamente, potrei prendere in prestito le parole di Nietzsche e azzardare che sono diventata ciò che sono). Diciamo però che sicuramente rimprovero alla destra la sua incapacità di contestualizzare prima di tutto. Poi, credo che a partire dalla caduta del Muro di Berlino nel 1989 si sia reso necessario un ripensamento forte e radicale degli assetti planetari: il sussistere delle categorie di destra e sinistra mi fa ritenere che un simile ripensamento non sia stato posto in essere. Mi pare, allo stesso modo, che le urgenze determinatesi all’indomani dell’11 settembre 2001 avrebbero dovuto indurre a livello globale il superamento di un modo di fare politica ancorato alle strutture di pensiero ottocentesche. Non so se la sinistra, in qualche modo, ci sia riuscita: la destra certamente no.

Alessandra Colla a un convegno organizzato dal gruppo neofascista “Lealtà e azione”

Il convegno di “Lealtà e azione”

Il pubblico del convegno di “Lealtà e azione”

Maurizi: Una certa cultura di destra si identifica con una sorta di “rivolta contro il mondo moderno” includendo in ciò il rifiuto del progetto emancipativo illuministico. Condividi questo assunto o pensi che l’antispecismo non possa che iscriversi nella storia frastagliata e contraddittoria quanto si vuole dei movimenti di emancipazione che prendono le mosse (magari per superarne i limiti, come il marxismo) dalla prospettiva liberalistica e borghese?

Colla:
Naturalmente ho attraversato anch’io il periodo della “rivolta contro il mondo moderno”. Finché non mi sono resa conto di due cose: la prima è che senza la Rivoluzione francese non ci sarebbe stato nessuno di quelli che, da una parte o dall’altra, volevano come me lottare contro il Sistema; e meno ancora ci sarei stata io, donna. Così, quando l’ho capito, ho iniziato a vedere tutto sotto una luce diversa: va da sé che il genocidio vandeano è una cosa orrenda, e nemmeno il Museo della Rivoluzione a Vizilles (assolutamente da visitare) pretende di addolcire le brutalità del Terrore. Ma quegli episodi non esauriscono la Rivoluzione, proprio come il 1789 non esaurisce l’Illuminismo.

La seconda cosa è che Assolutismo e Rivoluzione si inscrivono, mi pare, necessariamente in un processo articolato in quattro fasi che potrei chiamare, con terminologia hegeliana, tesi-antitesi-sintesi-catàtesi — il quarto termine è mio, Hegel mi perdonerà l’ardire e tu mi perdonerai la lezioncina. Marshall McLuhan postula la “tetrade” come dinamica applicabile a qualunque fenomeno, e le sapienze tradizionali elaborano una “dottrina delle quattro età” che vede un progressivo degradarsi dell’ordinamento sociale articolato in quattro tempi — ma insomma il concetto è simile: prima si dà uno stato di fatto (tesi) al quale si contrappone in seguito qualcosa che ne contesta i presupposti fondanti (antitesi), poi si perviene a una sorta di conciliazione di entrambe le istanze (sintesi) e infine, quando questa conciliazione compromissoria ormai normata mostra le contraddizioni interne che ne rivelano l’inadeguatezza, ecco che la si mette in discussione e la si abbandona (catàtesi), con modalità non sempre pacifiche né indolori. Quello che ne emerge è una nuova tesi, e il ciclo ricomincia.

Così, sulla base di questa griglia interpretativa che mi sembra (cioè sembra a me) abbastanza soddisfacente, nel corso degli anni ho cercato di vedere e rivedere il mio vissuto e le categorie mentali che lo avevano sorretto, finché non ho operato lo “strappo” e optato per altre priorità dettate da una diversa consapevolezza.

Certo l’antispecismo può essere considerato a buon diritto, come dici tu, uno dei “movimenti di emancipazione che prendono le mosse (magari per superarne i limiti, come il marxismo) dalla prospettiva liberalistica e borghese”. Però aggiungo che — a mio avviso — l’antispecismo è molto di più, sia pure forse ancora inconsapevolmente: è il tentativo di recupero di una dimensione che non ci appartiene più, sepolta com’è nelle nebbie del tempo; è l’anelito a una visione olistica che non è affatto svanita dal nostro orizzonte, ma soltanto nascosta da un’imponente stratificazione di ideologie religiose e culturali che nel corso dei secoli e dei millenni hanno snaturato il rapporto originario e originale che legava l’umanità agli altri viventi. Possiamo riappropriarcene, e per farlo il passaggio attraverso l’antispecismo è obbligato. Ma sarà necessario un passo ulteriore: il superamento dell’essere contro lo specismo per affermare un essere a favore del vivente. Mancano le parole per definire quella che dovrà essere la nuova posizione dell’uomo nel cosmo, per parafrasare Scheler: personalmente, è da qualche tempo che ragiono sul termine di zoosofia, laddove sofia non va intesa soltanto nel senso di “sapere”, termine assimilabile a “scienza”, bensì proprio nelle sue altre accezioni — ognuna più ricca, complessa ed evocante dell’altra — di “sapienza”, “senno”, “saggezza” e perfino, o soprattutto, “prudenza”. Dunque zoosofia come un atteggiamento di consapevolezza, rispetto e attenzione nei confronti del vivente — in una parola, responsabilità: la capacità di offrire risposte adeguate alle domande. È qui che si dovrebbe verificare se il Sapiens è tale a ragione, oppure no.

Un’ultima notazione — anzi, una domanda: si parlava all’inizio di “rivolta contro il mondo moderno”, ma non pensi che l’antispecismo possa oggi essere considerato come “la” rivolta contro il mondo post-moderno? Io ci rifletto spesso.

Maurizi: A ciò si collega la questione del rapporto con il passato. Un altro tema tipico della cultura reazionaria (ma che, purtroppo, trova sempre più spazio anche a sinistra, negli ambienti anarchici ed ecologisti) è infatti l’idea secondo cui sarebbe necessario un “ritorno” a stili di vita e/o modi di produzione pre-moderni, immaginati in forma di idillio, scevri di violenza e non-invasivi: il “mondo contadino” ecc. Come ti poni rispetto a queste tesi?

Colla: Credo si tratti essenzialmente di un problema di memoria: per lo stesso meccanismo per cui persino la guerra e la galera, se fatte da giovani, risultano gradevoli e perfino desiderabili ricordandole da vecchi, anche il passato — soprattutto quando è remoto e non prossimo — tende ad assumere contorni attraenti. Il punto è che non esiste un “oggetto memorabile” asettico e assoluto: esiste invece un “soggetto memore” che trasceglie eventi dal flusso infinito del reale conferendo loro una valorialità relativa. L’avevano compreso già perfettamente gli antichi, per esempio Tacito — che indicava il compito dello storico (cioè di colui che racconta ciò che sa per averlo visto, come diceva Tucidide) nell’impegno di narrare gli eventi sine ira ac studio, senza soggiacere alle passioni e in modo imparziale (mi piacerebbe dilungarmi sulla costruzione dell’espressione tacitiana, ma capisco che non è il momento). Ne deriva che si ricorda solo ciò che si sa — direttamente per esserne stati testimoni oculari, o indirettamente per averlo appreso da fonti certe e affidabili: ma è chiaro che quando le fonti “certe e affidabili” ci sono affini per contiguità affettiva (i familiari, gli amici etc.) o ideologica (esponenti della nostra parte politica o fede religiosa etc.) l’acribia va un po’ a farsi benedire.

Così, quello della meravigliosa civiltà contadina è un mito che non trova fondamento nella realtà: le pastorelle di Watteau stanno bene nei quadri ispirati all’Arcadia, e le Georgiche di Virgilio non sono una cronaca della vita nei campi ma il manifesto ideologico della politica augustea. Al contrario, la civiltà contadina è stata caratterizzata dovunque da una durezza e da una violenza indiscutibili: non certo per una qualche malvagità insita nel contadino in quanto tale, ma perché il contesto quotidiano e le contingenze sociali e politiche inasprivano necessariamente il singolo e la comunità — l’urbanesimo non è stato lo sfizio domenicale di un contadino annoiato. Non dobbiamo dimenticare che il mondo contadino è un mondo patriarcale, fortemente gerarchizzato e privo di attenzione nei confronti di donne e animali al di là del loro valore come “mezzi di produzione”: anche la moglie del padrone, la regiôra lombarda o l’arzdora emiliana, godeva di un prestigio pari alla sua abilità come amministratrice dei beni del marito, quindi sempre come oggetto di una relazione e mai come soggetto della stessa — ricordo che nel 1977 uscì un ottimo testo di Armanda Guiducci, che prendeva il titolo da un tremendo detto contadino: “la donna non è gente”, a significare l’esclusione aprioristica del genere femminile dal consesso umano. Chiaramente una cultura o un’ideologia che apprezzi il modello patriarcale non potrà non apprezzare, almeno in parte, la civiltà contadina. Del pari, un atteggiamento critico verso il medesimo modello comporterà un atteggiamento analogo nei confronti del mondo contadino e dei valori che esso propone.

Poi, un po’ per ingenuità e un po’ per ignoranza, il rifiuto del mondo moderno come negazione dell’edenico mondo contadino (peraltro mai esistito) è venuto a coincidere, almeno a parole, col rifiuto della modernità tecnologica: certo è ancora possibile vivere senza le tecnologie attuali, ma questo comporta inevitabilmente una serie di limitazioni più o meno gravi non soltanto alla propria socialità, ma addirittura alla propria quotidianità: tant’è vero che le piccole comunità che scelgono di vivere lontane dalla città in enclavi autogestite secondo dinamiche di autoproduzione ed economia di sussistenza finiscono per assumere caratteri marcatamente settari e per capitolare, prima o poi, pena un’emarginazione pressoché totale. Naturalmente è possibile adattarsi, per un lasso di tempo limitato, a stare senza elettricità, senza acqua calda, senza riscaldamento e senza trasporti, soprattutto quando si è relativamente giovani e in buona salute: ma credo che sul lungo periodo l’Homo occidentalis, non importa se di destra o di sinistra, non resisterebbe un granché.

Penso, in sostanza, che l’atteggiamento di rifiuto verso la modernità sia dettato dalla confusione tra mezzo e fine: la tecnica prima e la tecnologia poi si sono rivelate non soltanto utili, ma in molti casi perfino indispensabili; è con la tecnocrazia che il rapporto si rovescia — non si vuole ciò che serve, ma serve ciò che si vuole. Qui però il discorso si sposta sul piano economico, con l’avvento dei bisogni indotti che rappresenta il punto d’arrivo del capitalismo maturo: ammesso e non concesso che il ritorno a stili di vita e modi di produzione pre-moderni sia auspicabile, come sarebbe possibile ricondurre il pianeta a una dimensione pre-capitalistica in termini temporali ragionevoli e secondo modalità eticamente accettabili? Andiamo avanti: ammesso e non concesso che si opti per un ritorno a stili di vita e modi di produzione pre-moderni attraverso una rivoluzione, come sarebbe possibile avviare e controllare un movimento rivoluzionario su scala planetaria senza fare ricorso alle moderne tecnologie? Credo che la modernità sia, volenti o nolenti, il nostro destino: tocca farcene carico. Vediamo, almeno, di farlo nel modo migliore.

Maurizi: Un altro elemento su cui riflettere e che tu hai già citato è il rapporto con l’identità. Tu parli del problema dell’identitarismo e della gerarchia nel pensiero di destra. La questione ha una sua valenza politica nel senso che in una prospettiva geo-politica che sembrerebbe esserti affine (penso al fatto che sei Direttrice della rivista di studi geopolitici “Eurasia”) l’idea dominante sembra essere quella di una lotta alla globalizzazione imperialista (ciò che negli ambienti di destra si chiamava “mondialismo”) in nome di una prospettiva mondiale di “piccole patrie”. O sbaglio?

Colla:
Chiarisco subito che io sono soltanto la direttrice responsabile di “Eurasia”: come si usa dire scherzosamente (più o meno…), il direttore responsabile di un giornale è “il direttore che va in prigione” se qualcosa non fila per il verso giusto, ma non è quello che dà la linea al giornale stesso. Naturalmente col direttore “vero” di “Eurasia” (il prof. Claudio Mutti) condivido in toto o in parte molte cose; in particolare, però, il progetto di “Eurasia” mi è caro perché appartiene a una persona alla quale ero molto legata e che ora non c’è più; aggiungo che ritengo imprescindibile l’impegno per il ritorno a una concezione multipolare del mondo, laddove da tempo, invece, domina l’unipolarismo americanocentrico — non soltanto in termini concretamente economici (e non dimentichiamo che per gli Stati Uniti, tradizionalmente, l’unica politica economica pagante è l’economia di guerra), ma anche culturali. Mi sembrano entrambi ottimi motivi per dare ragione della mia scelta.

Credo che negli scenari del post-11/9 la prospettiva delle “piccole patrie” sia ormai decisamente superata: oggi i nazionalismi non hanno più né un significato né una funzione, e certe rivendicazioni sanno irrimediabilmente di vecchio. Invece sono convinta che il continente eurasiatico debba ritrovare una compattezza tale da consentirgli di porsi a livello planetario come soggetto qualificato ed efficace nel ridimensionamento dell’egemonia statunitense e del suo imperialismo d’esportazione.

Maurizi: Torniamo dunque al problema dell’identitarismo da un punto di vista teorico. L’antispecismo, soprattutto nei suoi più recenti esiti “continentali”, sembra qualificarsi sempre più come messa in discussione di un’identità rigida e auto-sufficiente, mostrando invece l’essere-attraversati-dall’-altro come orizzonte insuperabile e inalienabile della nostra soggettività. Una persona come te che è stata a contatto con ambienti in cui l’identità (addirittura l’identitarismo) viene invece celebrato come un valore, come vede la questione?

Colla:
Penso che l’esibizione ostentata e insistita della propria identità sia il sintomo di una profonda crisi di valori sottesa alla stessa. La paura del confronto con l’altro nasce da un’intima insicurezza, dalla percezione della propria debolezza rispetto a chi ci sta di fronte. Tutti abbiamo un’identità — tutti abbiamo radici. Ma non tutti proviamo il bisogno di metterle in mostra o ribadirle di continuo per rafforzare autoritativamente il nostro essere.

Del resto le radici (continuo a servirmi della metafora vegetale, che trovo calzante) permettono alla pianta di crescere e vivere anche in un luogo altro da quello di nascita, a contatto con specie vegetali e animali diverse, senza che la propria natura ne venga minimamente alterata; perdipiù, le radici continuano a crescere e adattarsi al terreno, finché la pianta vive. Invece, curiosamente, gli ambienti che più amano rifarsi alle “radici” tendono ad attribuire loro un carattere di rigidità e staticità che invece è estraneo alla struttura biologica di questi organi: etimologicamente, “radice” è riconducibile a due voci sanscrite indicanti rispettivamente la flessibilità e l’accrescimento. Accade così che sia il non-sapere a determinare preconcetti destinati a forgiare un’ideologia strutturata nella quale non c’è spazio per la domanda e per il dubbio.

Certamente un altro aspetto autenticamente rivoluzionario dell’antispecismo è proprio questa sua capacità di rimettere in discussione tutto quello che sappiamo — o meglio che crediamo di sapere. Ci costringe, come direbbe Husserl (con un’espressione che io amo molto e che da decenni mi segna il cammino), a “mettere fra parentesi” l’equazione civilizzazione=scienza=progresso che ci condiziona da millenni, per consentirci l’apertura alla possibilità di recuperare un rapporto radicalmente diverso con tutto ciò di vivente che ci attornia. Va da sé che la portata di questa particolare messa fra parentesi è epocale e per certi versi devastante: l’impatto della sensibilità antispecista sull’edificio concettuale della società occidentale contemporanea è mostruoso, e sono certa che la tenace resistenza opposta dagli specisti (consapevoli e inconsapevoli) derivi in parte anche dalla confusa percezione che sia l’antispecismo, più che una guerra o una catastrofe, a costituire l’autentica novità (in greco antico, “fare la rivoluzione” si dice neoterìzein, “fare cose nuove”) in grado di porre fine al mondo ovvero alla società così come li conosciamo noi oggi.

È plausibile che tutti si debba fare i conti, prima o poi, con l’abisso che divide l’essere dal dover essere: e, posto che il ritorno a una mitica età dell’oro o ad un’Arcadia inesistente non si dà neanche volendolo, è imperativo prendere atto del presente, accantonare i guasti del passato e progettare un futuro che tenga conto dei mutamenti (inevitabili) intervenuti a valanga negli ultimi centocinquant’anni — tanto per fare un esempio, Filippo Tommaso Marinetti poteva inneggiare, nel suo La sensibilità futurista dell’11 maggio 1913, alla «derisione del “divino silenzio verde” e del paesaggio intangibile»: oggi, a un secolo di distanza, chi lo facesse sembrerebbe semplicemente stupido o incosciente. Vale a dire che quello che poteva costituire un parametro identitario attendibile cent’anni fa, oggi è a dir poco fuorviante e non dovrebbe più essere assunto come coordinata culturale. Invece, proprio a causa di quella rigidità formale che ha preso il posto della coerenza sostanziale, gli ambienti identitari si dimostrano spesso (nei fatti) incapaci di stare al passo coi tempi: con l’unico risultato di restare al palo, cristallizzandosi sempre di più nelle loro posizioni — cristallizzandosi: cioè fragilizzandosi.

Per quanto mi riguarda, il distacco da certi ambienti e certe posizioni è stato motivato in particolare dalla constatazione dell’esistenza di altre e per me più urgenti priorità; del resto, poiché mi succede da sempre di essere fuori posto dappertutto — cioè non organica a nessuno degli ambienti che mi è capitato di frequentare — i vari “strappi” non mi sono mai pesati più di tanto: una volta superato lo sgretolamento delle categorie mentali che credevi necessarie immutabili ed eterne come le verità matematiche, il resto scende.

 

Commenti originali (da Asinus Novus)

80 Responses to “Antispecismo? Mai a destra. Intervista ad Alessandra Colla”

  1. Un commento a caldo, subito: il Movimento Studentesco, inviso perfino a Lotta Continua, fascisti nei metodi e stalinisti negli ideali.
    Ma un po’ tutti i sessantottini manifestavano quell’intransigenza che in poco tempo iniziò a disgustarmi, fino ad abbandonare tutti i gruppi. Anche quello più innocuo di Re Nudo (te li ricordi, Alessandra? Finirono tutti nel pessimismo e nel vittimismo totale, alcuni di loro anche nell’autolesionismo della droga, e non sempre per colpa loro, la loro radio ‘libera’ fu bruciata diverse volte). A fuggire da tutti i gruppi e a rifugiarmi nel teatro.

    Quanto alla mia storia personale, a parte il periodo adolescenziale (chierichetto, aspirante monaco, aspirante alla santità), ho seguito il percorso inverso dagli anni Ottanta in poi, quando ho conosciuto scrittori di destra, Elemire Zolla, Crsitina Campo, Jünger… e, con lo stesso marchio anche lui, Guido Ceronetti (beh, anche se non gli piace, se lo merita).

    • “Certo l’antispecismo può essere considerato a buon diritto, come dici tu, uno dei “movimenti di emancipazione che prendono le mosse (magari per superarne i limiti, come il marxismo) dalla prospettiva liberalistica e borghese”. Però aggiungo che — a mio avviso — l’antispecismo è molto di più, sia pure forse ancora inconsapevolmente: è il tentativo di recupero di una dimensione che non ci appartiene più, sepolta com’è nelle nebbie del tempo; è l’anelito a una visione olistica che non è affatto svanita dal nostro orizzonte, ma soltanto nascosta da un’imponente stratificazione di ideologie religiose e culturali che nel corso dei secoli e dei millenni hanno snaturato il rapporto originario e originale che legava l’umanità agli altri viventi.”

      Sì. Cos’era l’imperativo di Barba e Grotovsky, quando improvvisavamo un animale, di non imitarlo né di impersonarlo secondo la concezione di Stanislavskij, bensì di tornare ad essere animali? E lo sapevamo fare. Facendoci sprigionare energie sconosciute alle accademie di recitazione.

  2. “confusa percezione che sia l’antispecismo, più che una guerra o una catastrofe, a costituire l’autentica novità (in greco antico, “fare la rivoluzione” si dice neoterìzein, “fare cose nuove”) in grado di porre fine al mondo ovvero alla società così come li conosciamo noi oggi.”

    Sì, sì, un pensiero talmente nuovo che non è più percepito come frutto di qualche matto solitario. Ed è consolante vedere come stia nascendo in diversi ambiti, a partire dall’etologia.

    • “Mancano le parole per definire quella che dovrà essere la nuova posizione dell’uomo nel cosmo, per parafrasare Scheler: personalmente, è da qualche tempo che ragiono sul termine di zoosofia, laddove sofia non va intesa soltanto nel senso di “sapere”, termine assimilabile a “scienza”, bensì proprio nelle sue altre accezioni — ognuna più ricca, complessa ed evocante dell’altra — di “sapienza”, “senno”, “saggezza” e perfino, o soprattutto, “prudenza”. Dunque zoosofia come un atteggiamento di consapevolezza, rispetto e attenzione nei confronti del vivente — in una parola, responsabilità: la capacità di offrire risposte adeguate alle domande. È qui che si dovrebbe verificare se il Sapiens è tale a ragione, oppure no.”

      Da tale prospettiva, il termine “antispecismo” è troppo stretto per essere indossato da un pensiero e da un movimento che guarda il mondo dall’esterno del nostro sistema planetario e galattico e all’indietro da quando apparvero gli agnati.
      Se poi si è imposto a partire da uno scritto che quanto a originalità di pensiero ha dalla sua parte solo o quasi il successo della pubblicazione, non è giunta l’ora di sostituirlo? Non gli basta il più glorioso trentennio di vita che ha ottenuto?
      Già i termini che leggo qui, “ecosofia”, “zoosofia”, ma altrove ho letto anche “biosofia”, sono di gran lunga più comprensivi (nel senso scolastico del termine) ed estensivi.

  3. Guido scrive:

    Ottima intervista, molto significativa. Personalmente, non conosco altra destra e altra sinistra che le due mani. Sono termini da relegare nei libri di storia, e forse stanno male anche lì. Pure i termini “fascista” e “comunista” fanno ormai ridere, per chi ne ha ancora voglia.
    “La visione ideologica che ci vede come unici e di natura diversa da tutti gli altri esseri viventi sul Pianeta, è solo un curioso delirio di grandezza”.

    • MM scrive:

      Sarà. Ma io tra Marchionne e un’assemblea autoconvocata di precari continuo a vedere una certa differenza. E, all’uopo, saprei benissimo scegliere la seconda.

  4. Barbara X scrive:

    Caro Guido, dillo a chi viene picchiato o ucciso (vedi Firenze lo scorso dicembre) che il termine “fascista” fa ridere. Questa intervista è il solito mezzo di cui si servono le persone di destra per fare proseliti e cattivarsi le simpatie degli antispecisti più sprovveduti, un mezzo per confondere le acque. Molto ingenuamente qui viene proposta una “bugia rassicurante”: la “scomoda verità” è purtroppo un’altra, ed è realtà di tutti i giorni, in ambito antispecista e non solo.

    • A tale proposito, Barbara, per non dar, ehm, man destra ai fascisti con i miei ricordi biografici sul “percorso inverso” da sinistra a destra con la lettura di Jünger, Zolla, ecc., li blocco subito specificando cos’è venuto fuori da quelle letture: una bella gran delusione.
      Bella perché ho allargato i miei confini sull’orizzonte culturale dei tempi, la riscoperta del sacro, delle tradizioni, la critica, a modo loro, della modernità, ecc.; grande perché tali scrittori, oltre a non manifestare alcuna concreta fame e sete di giustizia (a parte Ceronetti per gli animali), sono dei gran servi del potere di Stato, anche se non di quello capitalista (sì, anche il ‘rivoluzionario’ Jünger), e (di nuovo, a parte Ceronetti) non mettono in dubbio la superiorità umana sull’universo.

      • Sei anche troppo buono a dare delle risposte così articolate e profonde al solito pensiero debole da salotto radical chic che vomita le solite risposte apodittiche, oltranziste e così, “reichianamente” parlando, fasciste.

    • lamia scrive:

      Scusa Barbara ma citare UNA strage di UN pazzo non mi sembra rappresentativo di un’intera categoria . Altrimenti si finisce come quelli di forza nuova secondo i quali i gay sono tutti pedofili, e questo non è sinonimo di serietà. Le destre sono molte e vanno considerate e giudicate ognuna nella sua specificità. Il problema non è “fascista” o “comunista” o “anarchico”. Il problema è la violenza. In qualsiasi modo essa si manifesti: con la reclusione, con le botte, con l’assassinio, con la censura, con lo stupro, con la paura, con la repressione. Che poi molte idee politiche e simboli vengano strumentalizzati e utilizzati da pazzi scriteriati è un altro paio di maniche. Se domani qualcuno dovesse uccidere in nome dell’antispecismo (per convinzione o per screditare il movimento) saremmo tutti finiti prima ancora di nascere.

      • Barbara X scrive:

        Siete completamente senza memoria storica,la società sta andando verso una destra totale, cioè verso lo s-fascio. E voi continuate a predicare di tolleranza verso le destre “buone”, se non addirittura di ciò che di buono avrebbe fatto mussolini. L’antispecismo non può essere di destra? Ahahaaahah! L’antispecismo è pieno di anarchici per finta, di politicamente ambigui e di soggetti che per formazione strizzano l’occhietto alle varie destre. E’ per questo che colla ha deciso di rilasciare questa intervista, lanciando questo messaggio che non ha nessun fondamento nella realtà (purtroppo), perché sa che moltissimi antispecisti sono messi politicamente come molti commenti qui sotto testimoniano.

  5. Marco, ti piace scatenare i manichei per smascherare i criptocattolici e i finti atei, vero?
    Ti capisco, è un’attività deliziosa.

  6. A me Ceronetti, Zolla e compagnia non piacciono affatto. La loro critica della modernità è puerile e piena di rancore. Ceronetti s’è mostrato più di una volta un razzista, ma sparare su di lui è come sparare sui poeti mitomodernisti. La crocerossa senza l’insegna. Zolla piuttosto non si è mai chiesto come mai tanta violenza nel paese che ospita la religione che amava tanto.
    Anzi: la bella favola del Kali Yuga è la sua pre-risposa, in odio ad ogni politica.
    Il recupero del “sacro” vale quanto le fughe del pensiero di cui parlava Heidegger, che quando parlava di sacro aveva ben altro in mente. Ma anche il suo sacro – almeno se lo intendiamo ancora nell’ambito di quella sfera, è inutilizzabile.
    Di sacro c’è solo lo spazio aperto da un sacrificio o da una sacrificabilità infinita (l’homo sacer di Agamben) che si apre comodamente proprio nella modernità, e l’alternativa non è una riappropriazione di qualcosa di più profondo, ma semmai la profanazione.
    Come diceva Benveniste, ci sono due modi per l’uomo di entrare in qualche vicinanza con gli dèi: il rito, che innalza l’uomo fino a loro, e il gioco, che abbassa gli dèi fra i mortali. In questo caso, per incrociare Agamben con Benveniste, profaniamo il sacro e diamo inizio ad una festa, ad uno spazio che incanta ogni potenza per aprire alla felicità. Qui gli dèi si incontrano fuori dalla mediazione del sacro, e si incontrano presenti, fuggitivi, fuggenti e sfuggenti, oppure contumaci, cioè si incontrano nella loro fuga da noi nelle loro ombre e tracce non redimibili.
    Solo questa può essere un’apertura all’insalvabile dell’esistenza e della vita (vedi Benjamin, Agamben, Filippi), cioè all’esistente come insacrificabile perché da sempre offerto (Nancy).
    Questa è una linea rintracciabile anche in Heidegger (anche senza la decostruzione di Derrida, ma ben venga pure lui) e certo in Adorno (Marco non montarti la testa :-) ).

    Ma il punto è che si può solo andare avanti (il deserto cresce e dobbiamo scegliere di albergare deserti dentro di noi): solo così possiamo – anche – riscoprire le possibilità rimaste ripiegate in un passato di violenza e dominio fondazionista.
    Ma questo implica, ahimé, il congedo da ogni sacro e da ogni fondazionismo.

    Dato che la fondazione della violenza sta nella violenza di ogni fondazione (Agamben)

    • MM scrive:

      Prima che qualcuno se ne esca con le solite sparate da “martire del libero pensiero” si ricorda che questo è uno spazio di discussione dove vigono le normali norme di netiquette: dunque è ammessa e incoraggiata la normale e anche animosa dialettica nei confronti degli altri utenti ma non l’offesa gratuita e volgare.

      Invece di lamentarvi perché i vostri commenti offensivi sono stati rimossi sforzatevi di riscriverli in modo educato e rispettoso dell’altro.

  7. Rispondi a me? Ti sei dimenticato di cancellarmi :-)

  8. Se c’è un fascismo davvero pericoloso, è in atto e al potere, e ci rende, quantomeno noi occidentali tutti correi: ed è il capitalismo nella sua forma biopolitica.
    Rispetto al quale i neofascisti picchiatori vari fanno al limite da manovalanza.

    Costruire tribù di contropicchiatori ha lo stesso senso di preoccuparsi del traffico d’armi nel proprio quartiere durante una guerra atomica

  9. babbadu2012 scrive:

    mah forse mi sfugge qualcosa, forse ultimamente sono particolarmente confusa, ma io da questa intervista esco rafforzata perchè vi trovo conferma che 1. il fascismo, che esiste e vegeta tranquillamente, non può e non sarà mai collegabile in alcun modo all’antispecismo, 2. le destre, in qualunque forma, per loro natura, non saranno mai antispeciste, 3 con questa intervista è stata fatta chiarezza attestando in modo inequivocabile che la liberazione animale non può avere presupposti di destra. si sottolinea infatti che al massimo si può parlare di alcune forme di animalismo. questa intervista a mio avviso rafforza il valore dell’antispecismo politico, pone dei confini che non lo limitano ma lo definiscono in modo inequivocabile. e in un periodo difficile in cui le battaglie per liberazione animale hanno bisogno di chiarezza questa mi pare una bellissima ciliegina sulla torta (vegan!)

    • Questo personalmente lo sapevo anche prima di leggere questa intervista che non mi aggiunge nulla a quanto ho elaborato grazie anche ad autori che abitualmente scrivono qui. Però mi chiedo, come è possibile che per argomentare – eventualmente questo – si intervisti A. Colla (sarà pure stanca di sentir fischiare le orecchie, non so se si è resa conto del pantano in cui si cacciava) che porta il suo verbo in conferenze sull’ambiente o gli animali organizzate da gruppi come Casa Pound e Azione e Lealtà? Queste relazioni sono un caso? Frutto di solo “interesse squisitamente filosofico”? Che sia anche per questo che l’intervista inizia rispondendo di fatto alle pressioni che evidentemente AN ha percepito in questi ultimi tempi? Lo chiedo proprio ad MM che sa di avere la mia stima e quando i neuroni mi assitono, pure la mia comprensione. Solo dopo che qualcuno avrà risposto a questa mia domanda, perderò tempo ad entrare nel merito esatto della storia raccontataci dall’intervistata e delle sue affermazioni. Perché è di questo che si stava parlando quando si parlava eventualmente di una “fascista tra voi”. Qualcuno mi ha detto “secondo me non è fascista, è solo che va un po’ dove la chiamano”. Ecco, il giorno che vedrò MM andare a cena con Marchionne a filosofeggiare perché “lo hanno chiamato”, invece che ad una assemblea di precari della Fiat, inizierò a titubare…

      • MM scrive:

        Eva non riesco a capire come fai a non collegare quello che dice Barbara con il fatto che è rilvente che quelle cose le dica proprio Alessandra Colla. La risposta la trovi nella prima domanda dell’intervista.

        E ora che ti abbiamo risposto facci il piacere di smettere di argomentare ad hominem e di entrare nel merito delle questioni. Grazie.

      • Una scandalosa argomentazione ad hominem, infatti. Prima mi fai vedere la tessera di partito e poi discutiamo.
        E poi mai l’adesso, sempre ieri ha fatto, ha detto, stamattina…

        Ho già detto da qualche parte che mio padre è diventato comunista dopo il golpe Borghese. Prima era viscido infame e blablabla fascista.
        Immagino che prima di discutere con lui chiunque farebbe bene a chiedergli di dissociarsi pubblicamente dal suo passato e di mostrare la tessera del PCI (ahimé, non era abbastanza “politico” per diventare un autonomo…) o, magari, chessò, all’oggi, del movimento 5 stelle (non un movimento populista guidato da un fascistello rifatto coi beni comuni e blabla , quello… ma d’altra parte nel 2050 l’innalzamento del livello dei mari avrà cancellato la politica così come l’abbiamo conosciuta… paaa-papa-pa-pa…)

  10. Sempronio scrive:

    x Barbara X del novembre 26, 2012 alle 2:01 pm

    Cosa significa per te il termine “fascismo”? È forse il verticismo delle multinazionali e delle banche d’affari private ad irritarti? Prenditela con loro perché il fascismo in questo non c’entra nulla.

  11. devetag scrive:

    Ma questa, Barbara, è solo una turpe manovra diversiva per voi ingenui che ci credete :)

  12. Luca Venitucci scrive:

    ho letto l’intervista, e mi pare che la Colla provi seriamente a fare i conti con gli aspetti più biecamente inaccettabili dei presupposti fondanti del discorso ideologico della destra (l’identità, la gerarchia, la dimensione del mito) e ad aggredirli con dei controargomenti critici del tutto accettabili.

    Mi pare addirittura che per certi aspetti le sue argomentazioni risultino alla fine essere paradossalmente addirittura più laiche o “progressiste”, o magari semplicemente più “pensanti” di quanto troppe volte avvenga nell’ambito di ciò che passa nell’ambito considerato “di sinistra”.

    Trovo infatti disperante il fatto che sia necessario che debba essere qualcuno che viene dal suo ambito a doverci ricordare che “la civiltà contadina è stata caratterizzata dovunque da una durezza e da una violenza indiscutibili”, che l’edenico mondo contadino non è mai esistito, che “le piccole comunità che scelgono di vivere lontane dalla città in enclavi autogestite secondo dinamiche di autoproduzione ed economia di sussistenza finiscono per assumere caratteri marcatamente settari”, o che “l’esibizione ostentata e insistita della propria identità sia il sintomo di una profonda crisi di valori sottesa alla stessa”, tutte cose che dovrebbero fare parte della consapevolezza minima di base di chiunque si professi di sinistra o quantomeno non di destra.

    Alcune sue affermazioni mi portano però a domandarmi quanto la revisione critica del discorso della destra da lei perseguita vada realmente a fondo, in particolare perché mi pare di rinvenire nelle sue argomentazioni il perdurare di un punto di vista fondamentalmente a-storico: trovo infatti molto discutibile la ricerca di individuare delle “strutture di fondo” che si affermerebbero nella visione occidentale apparentemente a prescindere da una processualità storica concreta e definita, e sulla quale tuttalpiù si innesterebbero poi innumerevoli “sovrastrutture”. Ugualmente mi pare fuorviante pensare che si riesca a spiegare qualcosa dei processi storici sia materiali che concettuali inscrivendoli all’interno di strutture cicliche di asserita derivazione hegeliana. La nozione di “sistema” contro il quale lottare mi sembra poi emblematica di una modo astratto di rappresentare le configurazioni sociali al di fuori di qualunque specifica determinazione storica e materiale concreta. E tuttavia la cosa che più spinge a pormi dei dubbi su quanto la Colla sia veramente andata oltre la destra è il richiamo all’ “equazione civilizzazione=scienza=progresso”, che ci condizionerebbe “da millenni”. Uno storico della filosofia come Paolo Rossi ha dedicato vari saggi a dimostrare che la nozione di una identificazione totalizzante e lineare tra sviluppo tecnico-scientifico, civilizzazione e progresso non caratterizza per niente i presupposti del discorso della modernità, come i critici post-moderni di essa hanno tentato di affermare, ma caratterizza soltanto l’ideologia positivistica in auge per meno di un secolo dalla metà dell’ottocento fino agli esordi della prima guerra mondiale. La Colla va ancora oltre gli stessi post-modernisti, ipostatizzando tale identificazione in un arco di durata millenaria che va contro l’evidenza per la quale concetti come quello di progresso o di scienza (intesa in senso moderno) esistono soltanto da qualche centinaio di anni.

    Va però ricordato che la tendenza a costellare argomentazioni che si vogliono critiche con ogni sorta di astrazione e di schematismo è ben presente anche nell’odierno discorso “di sinistra”, e questo mi porta all’ultima riflessione: quella di affermare l’obsolescenza della dicotomia destra/sinistra e la necessità di perseguire il superamento di essa è una prassi consolidata del del pensiero collocabile dell’ambito della “nuova destra” (e Colla non fa eccezione) che negli anni sta trovando sempre più sostegno ed approvazione anche a “sinistra”. A tale constatazione va aggiunta quella per cui come non mai vi è attualmente una convergenza tra tematiche ed elementi tra i due diversi estremi dello spettro ideologico. Mi pare dunque che vi sia un oggettivo imbarazzo della “sinistra” su come poter controbattere alle tesi che affermano l’obsolescenza della dicotomia.
    La mia tesi al riguardo è che non è affatto vero che le categorie di destra e sinistra siano obsolete, e che perlomeno uno dei motivi che rendono difficile riaffermarla e sostenerla è il fatto che la sinistra ha effettivamente introiettato elementi della visione del mondo “di destra” all’interno del suo ambito di discorso. Mi sembra in particolare che pensatori com Adorno e Horkheimer, e probabilmente anche Marcuse, abbiano operato una transizione da una critica della modernità storicamente e materialisticamente contestualizzata ad una critica assoluta e a-storica. In tal modo si sono creati i presupposti per una riaffermazione all’interno del campo discorsivo della sinistra di elementi e punti di vista originariamente appartenenti alla critica reazionaria della modernità. Credo dunque che si imponga una revisione critica di quelli che sono stati gli sviluppi del discorso critico della sinistra negli ultimi quaranta o cinquant’anni, in mancanza della quale la confusione tra destra e sinistra si farà sempre più fitta e indistricabile.

  13. feminoska scrive:

    Buonasera a voi :-)
    Tante sono le cose che mi hanno lasciato perplessa di questa lettera, sin dagli esordi autobiografici. Ma per mantenere il mio commento nei limiti del leggibile – ed evitare per quanto possibile di renderlo un lenzuolone sproloquiante – cercherò di soffermarmi solo su alcuni degli aspetti toccati, quelli che reputo più interessanti.
    1) A prescindere dall’atteggiamento terzoposizionista che attualmente pare andare tanto di moda – e non solo in ambienti di destra ahimé – la realtà è che i ‘fascisti’ (nomen omen) esistono ancora, come più sopra ha fatto notare Barbara. E anche non tenendo conto della ‘strage di un pazzo’ facilmente derubricabile a ‘raptus’, si possono trovare in rete diversi osservatori sui movimenti neofascisti attivi sul territorio italiano (un po’ di titoli di notizie di novembre? Eccoli qui: 12.11.12 – Abruzzo. Ronde notturne a caccia di immigrati: Spedizioni punitive nelle campagne abruzzesi contro i braccianti stranieri che lavorano nella zona. 12.11.12 – Alba Dorata in Italia, fondata a Trieste costola movimento filonazista greco. Alba Dorata, il movimento filonazista greco xenofobo e antisemita, adesso parla anche italiano. Con una campagna di adesioni, sul web, è stata lanciata ufficialmente la costola del partito estremista che, nel suo Paese, si batte con violenza contro la presenza degli immigrati, con tanto di spedizioni punitive. 12.11.12 – Roma Minacce e svastiche al Manara e al Mamiani. Tensioni con CasaPound al liceo Nomentano Insulti alle partigiane e ai ragazzi del collettivo che dicono: “Non è la prima volta, sono i fascisti di zona”. Condanna di Alemanno e Zingaretti. Scintille anche nell’istituto alla Bufalotta, occupato da stamattina insieme a molte scuole dell’XI e del XII municipio, dove gli studenti si sono confrontati con alcuni militanti di CasaPound. 17.11.12 – Razzismo e antisemitismo. In carcere l’ideologo di Stormfront. Arrestati, oltre a Daniele Scarpino, anche tre attivisti del sito neonazista che sostiene “la superiorità della razza bianca”. Ipotesi di reato sono “incitamento all’odio razziale e diffusione di idee antisemite”. Il questore: “pronti ad attaccare campi nomadi”. 23.11.12 – Roma: Raid antisemita nel pub: due ultrà romanisti arrestati. Nel raid che, anche secondo la polizia, avrebbe forti connotazioni razziste e antisemite, anche un californiano e un venditore ambulante bengalese, sono stati feriti dai teppisti. Alcuni testimoni hanno riferito di cori al grido di «ebrei» durante l’assalto. Gli investigatori, indagano in ambienti ultrà a 360 gradi e anche in ambienti dell’antisemitismo collegato al tifo calcistico 24.11.12 – Vercelli, svastiche sul muro del cimitero ebraico. Due svastiche, realizzate con vernice spray di colore blu, sono comparse nella notte sul muro di cinta del cimitero ebraico di Vercelli. Ecc.ecc.ecc….) Che alcuni ‘intellettuali’, di destra – o financo di sinistra – possano dire (in buona fede?) che di fascisti in Italia non ve ne siano più, a mio parere marca solo lo scollamento esistente tra gli ‘intellettuali’ e i c.d. ‘ambienti’ o ‘movimenti’ (distanza evidente anche in alcuni ambienti della sinistra).
    2) Colla scrive: «Può esistere un antispecismo “di destra”?» mi sembra la classica domanda nella quale si cela la risposta: no — almeno a mio avviso, e vedremo perché. Ma prima lasciami aggiungere questo: allo stesso modo potrei dire che non può esistere nemmeno un antispecismo “di sinistra”, per il fatto che tutta la società occidentale nel suo complesso si è venuta formando, nei secoli, come specista: anche se il nome specismo risale, come sappiamo, ai primi anni Settanta del XX secolo, a me sembra che la cosa preceda, almeno a livello inconscio, di gran lunga il sessismo e il razzismo.”
    Anche con questa interpretazione non posso essere d’accordo. Sul fatto che la società sia stata prima di tutto specista non vi è dubbio, ma l’evoluzione che ha avuto il pensiero della sinistra (con tutte le inevitabili sfaccettature) è stato comunque caratterizzato da una direzione anche in senso libertario e trasversale rispetto alle diverse lotte, che perciò se non comprende automaticamente l’antispecismo cionondimeno può comunque immaginarlo come nuova frontiera della propria traiettoria politica (cosa che non dò per scontata, anzi…ma che mi pare, almeno a livello ideale, non in aperto contrasto con l’evoluzione storica della sinistra)… cosa che assolutamente non mi pare possibile a partire dall’ideologia che caratterizza la destra, così come la stessa Colla ha efficacemente descritta.
    3) Sempre nell’intervista si dice che esiste un ‘animalismo di destra’: possibile? Io direi di no. la Colla sostiene che “esistono persone di destra profondamente rispettose degli animali e decise a combattere per i loro diritti. “ Ma a sentire cosa pensano e dicono quelle persone di alcuni animali umani (con tutte le nostre peculiarità, non siamo animali anche noi?), risulta abbastanza evidente che quel supposto ‘rispetto e attenzione nei confronti del vivente’ riesca ad esprimersi solo nei confronti del vivente radicalmente ‘altro da sé’, che in fin dei conti appare un’operazione più semplice.
    Ci sarebbero ancora diverse cose da dire, ma auspico di poter riprendere il discorso in un post dedicato su fas. Solo riguardo ad una cosa sono assolutamente d’accordo con la Colla: l’antispecismo di destra non può esistere. Saluti.

    • madhunitai scrive:

      Sto monitorizzando gli appartenenti alla “setta positivista” del gruppo “a favore della sperimentazione animale”, una vera e propria religione, sono molto interessanti, vi consiglio di esaminarli con occhio cinico.
      Leggendo i commenti di tantissimi “animalisti” e “antispecisti” ovviamente detrattori del gruppo, una cosa appare lampante, che di facinorosi, violenti e crudeli il movimento animalista e antispecista è pieno fino all’orlo, vanificando di fatto la tesi antispecismo= sinistra, perchè non v’è “rispetto e attenzione nei confronti del vivente”.

      • Non te la prendere, Marzio, il problema è così complicato che non ci capisco neanche io.
        Fatto sta che ogni nuovo pensiero, e il nuovo pensiero è, come dice Alessandra Colla, “molto di più” di quanto pensino animalisti e antispecisti, si trascina dietro divisioni e crisi di convinzioni, di verità consolidate, di Weltanschaungen (lo conosci, mi pare, il tedesco), di personali rimembranze… che i contributi di Asinus Novus, se non servono a sbrogliare la matassa, indicano almeno il filo da cui iniziare ad afferrare quello giusto. Interessante, per esempio, l’intervento del fisarmonicista (a lui sia lode), una new entry.
        Già ti ho detto in privato che il pensiero di destra non è tutto da buttare (ma qui in alcuni interventi per “destra” s’intende solo un partito politico di destra o un gruppo di schifosi manganellatori), ai già l’ho detti deludenti Zolla, Campo (ma siete mai riusciti a toccarne l’anima sensibilissima più delle antenne di una lumaca? ma lo sapete almeno chi è Cristina Campo?), Jünger, Ceronetti (giuste le osservazioni di Derrdiilgambo) vorrei aggiungere qualche nome che ho dimenticato (deludenti anch’essi, sì, deludenti), Celine, Eliade, Canetti, o no, Derridiilgambo?, Durand, Guenon… ma metto in fila anche Borges (il grande), Croce, Gentile…
        Ma possibile che costoro abbiano prodotto solo cacca?
        Ah ah, scontato che resto un sessantottino.
        E di quelli irriducibili.
        O no Feminoska?

      • feminoska scrive:

        Ciao Pasquale, non posso sapere se tu sia o meno un sessantottino irriducibile, non solo perché non ti conosco ma anche perché nel ’68 io non ero nemmeno un’idea, dato che sono nata nel decennio successivo – e per avere una vaga idea dei convincimenti sorti in quegli anni non posso che affidarmi alla memoria altrui. Se io pensassi, come mi pare tu credi o affermi, che qualsiasi essere umano che – in qualche momento della sua esistenza – si sia potuto in qualche modo identificare in un pensiero di destra sia per questo una specie di ‘mostro’, farei proprio di tutta l’erba un ‘fascio’, e non è questa un’attitudine che mi appartiene. Non è così perché sono convinta che ogni persona sia di più di una limitante descrizione dell’area politica di riferimento, e per di più… errare è umano, ed è caratteristica che ci accomuna tutt*, nessun* esclus*. Ci sono state e ci saranno sicuramente delle personalità eccezionali il cui pensiero non può essere appiattito in poche righe definitive, ed inoltre, siccome non tendo a confondere una parte per il tutto, sono capace di apprezzare ad esempio il Céline scrittore – pensa che proprio ‘Viaggio al termine della notte’ resta uno dei miei libri preferiti di sempre – dal Céline persona che traspare in altri contesti – posso dire lo stesso di Pound, ad esempio… o di chi vuoi tu: le persone tutte ‘bene’ o tutte ‘male’ non esistono nel mio universo (e comunque mi pare che le capacità intellettuali non siano tutto in una persona, ma debbano essere sempre messe in relazione anche con altre capacità, quali quelle che attengono alla sfera del sentire e dell’entrare in relazione con l’altro da sé, ad esempio). Detto questo, non è il pugno di personalità che tu hai citato, nella loro complessità, nelle contraddizioni, nella unicità, ad informare a mio avviso il pensiero di destra attuale. Dalla destra di cui io posso avere esperienza quotidiana (e non parlo solo, fortunatamente, di manganellatori), la complessità del pensiero è spesso bandita, e si presta anzi generosamente ad essere il terreno di coltura di semplificazioni reazionarie che hanno spesso esiti violenti… mi viene da pensare, e questo lo dico con uno spirito un po’ provocatore, che forse la definizione di alcune di quelle personalità, sicuramente tormentate, come di destra sia una ipersemplificazione assai riduttiva. Chissà che anche nel caso della Colla, quell’incontro precoce con pensieri anarchici e e libertari non abbia comunque inquinato, in qualche modo, la ‘purezza’ della sua successiva identificazione con un ambiente di destra?

    • MM scrive:

      Ciao!
      Aspetto di leggere il post che scriverai su FAS. Però vorrei prima puntualizzare alcune cose sui tre punti da te elencati:

      1) Non capisco perché lo dici, non mi pare che nell’intervista si dica che non esista più il fascismo visto che si parla addirittura di neofascisti.

      2) Se leggi bene la risposta di Alessandra alla mia domanda è articolata in due punti: da un punto di vista generale dice ciò che riprendi tu, ovvero che solo “potenzialmente” la sinistra può essere definita antispecista (il che per altro è vero); ma poi per buona parte dell’articolo (che mi sembra essere quella più rilevante) ribadisce perché è impossibile che le categorie della destra (gerarchia, identitarismo) possano portare all’antispecismo, mentre riconosce che è vero che quest’ultimo sarebbe impensabile senza i processi emancipativi della modernità (illuminismo, rivoluzione francese, rivouzione d’ottobre, femminismo). Mi sembra un po’ ingeneroso concentrarsi solo sul primo rilievo e tralasciare completamente il resto dell’intervista.

      3) Su questo chiariamoci. Da quello che dici tu sembri identificare animalismo e antispecismo che, per carità, si può anche fare ma ci sono argomenti per distinguerli e qui Alessandra chiaramente li presuppone: ovvero l’antispecismo è una teoria e una pratica coerente di rispetto dell’alterità umana e non-umana, l’animalismo è un generico sentire benevolo verso gli animali non-umani. Solo gli animalisti possono preoccuparsi per gli animali e fregarsene degli umani che peraltro è ciò che regolarmente fanno e infatti sono stati accusati di misantropia da almeno due secoli a questa parte. Dunque niente di nuovo, quello che Alessandra descrive è ciò che accade normalmente nell’animalismo che quindi, sì, certo che può essere anche di destra, anzi io direi che è quasi sempre di destra (anche quando non lo sa o non lo riconosce).

  14. feminoska scrive:

    Buongiorno Marco,
    affronto i tuoi punti! Per quanto riguarda il primo posso dirti che lo ribadisco probabilmente perché sono abbastanza stufa di ascoltare revisionismi vari o tentativi di derubricare a ‘eccezionali’, e perciò non significativi, episodi di violenza che nascono e traggono linfa da un determinato contesto ‘culturale’. Forse in virtù del mio percorso femminista, avverto anche io in maniera inequivocabile – come altre persone che sono qui intervenute – che il pericolo insito nelle interviste come questa ad Alessandra Colla è quello di rendere ‘l’eccezionale normale’ e il ‘normale eccezionale’, così che ad ascoltarla parrebbe che la realtà della destra sia fatta di riflessioni pacate e perlopiù condivisibili, e non di un corpus concettuale antiquato e intriso di intolleranza che sfocia in fatti di violenza quasi quotidiana – come testimoniato dalla cronaca, non si tratta proprio dell’exploit isolato del ‘folle’ di turno – e che informa in maniera deleteria per tutt* noi le politiche sociali.
    Sul secondo punto posso dirti succintamente che mi sono concentrata sul primo rilievo, proprio perché reputo il resto della disamina relativa alle caratteristiche peculiari della destra (gerarchia, identità, ecc.ecc.) puntuali – resta per me da capire come alcune persone, che appaiono intellettualmente dotate e/o preparate, possano abbracciare un pensiero che fondamentalmente si basa sulla disuguaglianza come presupposto di gerarchia e privilegi e non di rispetto e valorizzazione delle diversità, ma questo probabilmente ha a che fare con percorsi esistenziali o di classe che mi sono perlopiù sconosciuti e che davvero faccio fatica a comprendere, se non derubricandoli a totale mancanza di empatia verso le altre persone… o malafede.
    Invece per quello che riguarda il discorso animalismo/antispecismo, ebbene sì, io non li vedo come percorsi quasi antitetici. Sarà perché partendo dalla mia esperienza personale e dalla mia età, io prima di tutto sono stata animalista (quando l’antispecismo non si sapeva nemmanco cosa significasse) e poi, di conseguenza antispecista. Oggi chi nasce antispecista mi pare quasi, come un adolescente arrabbiato, marcare la propria distanza da quel genitore scomodo e diciamocelo, pure datato e probabilmente ormai anacronistico, al fine di costruire la propria unicità (come se questa non fosse di per sé evidente!). Non mi pare questo un atteggiamento del tutto onesto intellettualmente e condivisibile, primo perché quel pensiero animalista tanto demodé ha fornito la base alle evoluzioni successive, e secondo perché comunque io conosco e ho conosciuto nel corso della mia esistenza tant* animalist* che non erano di destra, non erano misantrop* (ma anzi, oserei dire il contrario: erano proprio loro in prima persona a subire discriminazioni violente da parte della maggioranza delle persone, e quindi a vedersi per prim* esclus*… qualcun* si ricorderà che fino ad un bel po’ di anni fa altro che ristoranti e mense veg – tanto per dirne una – dovevi sfilare il prosciutto dal panino e mangiarlo solo con l’insalata, se per grazia c’era! E le discussioni violente con familiari, amici e parenti su ogni minima ‘deviazione’ dalla norma!). Io perciò oggi non mi sento solo antispecista, ma anche animalista, non riesco a scindere questi due aspetti in maniera netta…. la ‘furia futurista’ antispecista nei confronti dell’animalismo non mi appartiene proprio!
    Devo però fare una precisazione: personalmente non considero animalist* coloro che oggi – e spesso su una bacheca di facebook, senza nemmeno ‘sporcarsi le mani’ – si dichiarano tali, salvo poi tirare fuori il peggio del peggio delle umane miserie e traboccando odio ad ogni minimo refolo. Tali persone per me rientrano senza fatica in una categoria abbastanza frequentata, quella degli imbecilli. Non che gli imbecilli non possano essere pericolosi, ma a quel punto che si dichiarino o meno ‘animalist*’ o femminist* è ai miei occhi francamente ininfluente.

    • MM scrive:

      Qualche nota veloce, scusami:

      1) Tu parli di

      episodi di violenza che nascono e traggono linfa da un determinato contesto ‘culturale’

      al che io obietterei che la violenza contro l’altro vissuto come “problema” (il comunista, lo zingaro, il migrante, la donna che non si piega ecc.) non nasce affatto da un contesto culturale, bensì da dinamiche sociali più profonde (anzitutto economiche e poi psicologiche e sociali): detto in altri termini, anche se Massimo Fini non scrivesse articoli contro la borghesia imbelle e bottegaia ci sarebbe lo stesso gente che va in giro a spaccare teste. Ma io sono marxista e capisco che questi argomenti non fanno tanto presa fuori del mio ambiente. Al limite potrei accettare che un certo contesto culturale può sostenere certe dinamiche ma qui allora dobbiamo intenderci quali argomenti possano veramente legittimare o rendere normale quella violenza. Perché il problema è chiaro: chi non è già disposto ad accettare la violenza e la semplificazione come mezzo di risoluzione dei conflitti ben difficilmente si farà convincere da certi contesti culturali. Al limite il problema si pone per autori che diffondono un messaggio articolato ma intriso di violenza che può confondere e convincere anche chi è ben intenzionato e lontano da quel tipo di idee. Ma è *questo* il caso? Ci sono oggettivi elementi in ciò che qui dice Alessandra che spingano alla violenza o alla criminalizzazione del diverso? (A parte il fatto che vorrei allora sapere dov’è che si pone il discrimine tra la cultura di destra “legittima” e quella “non legittima”: smettiamo e impediamo di leggere Nietzsche perché invita a disprezzare i deboli? non so…). Uno potrebbe dire – e avrebbe comunque poco a che fare col contenuto dell’intervista – che ciò che dice Alessandra qui non è problematico, però sono problematiche le “implicazioni” politiche legate alla sua persona e al suo passato. Ma questo è un argomento ad hominem che penso andrebbe evitato. Mi pare lo stesso atteggiamento di quelli che mi ascoltano parlare di Marx e invece di giudicare quello che dico si mettono a delirare: “eh ma i Gulag…”, “tu parli bene però dietro di te ci stanno quelli che sfasciano le vetrine”, “questo è un discorso intollerante e totalitario” ecc. Col che nessuno mi fa mai una critica che riguarda le cose che ho di fatto detto! Immagina se alla tv radicale che mi ha intervistato l’anno scorso invece di discutere delle cose che ho detto (cosa che, per la cronaca, non è successa) avessero cominciato a dire che mi volevo “infiltrare” tra i radicali o che il mio era un tentativo di trovare “legittimazione”. Da spararsi.

      2) Vale quello che hai detto a Pasquale. Questo attiene al percorso personale, così come ci sono religiosi, liberisti, comunisti e anche anarchici la cui fede non è scalfita dalla violenza che viene fatta in nome delle rispettive ideologie, non mi pare strano (anche se, soggettivamente, faccio anch’io fatica a capirlo) che persone di destra non considerino la violenza fascista come una conseguenza inevitabile di certe idee. Ma ho amici d’infanzia che sono persone mitissime e che continuano a ritenere valide certe idee con cui altri giustificano i propri manganelli…

      3) Anch’io ho problematizzato in questo articolo la differenza tra animalismo/antispecismo e considero puerile chi usa la parola antispecismo per distinguersi dall’animalismo. Ma non lo dico perché penso che non ci sia differenza, bensì perché l’antispecismo – che è una visione coerente e quindi anche coerentemente politica della liberazione di tutti gli oppressi – non esiste ancora, è solo un embrione di teoria e di pratica ancora poco compresa, poco sviluppata, poco diffusa. Quindi in un certo senso ciò che tu chiami animalismo è ciò che io chiamo antispecismo, e ciò che tu chiami “non animalismo” è ciò che io chiamo “animalismo” :) Però mi permetto di dissentire sul tasso di misantropia dell’animalismo. E’ molto più diffuso di quanto tu non lasci intendere (o voglia sperare). Non solo da parte di chi urla “vivisezionate i pedofili” e simili amenità, ma anche da chi considera il genere umano qualcosa di intrinsecamente malvagio, cosa che anche quando non viene detta esplicitamente (da chi addirittura “sogna” l’estinzione della specie) è implicita in tutti gli sfoghi in cui contro l’umano, senza distinzioni, si innalzano urla di rabbia e vendetta. Serena scrive molto bene di questo estinzionismo/nichilismo strisciante nell’animalismo, ad es. qui.

  15. “Dalla destra di cui io posso avere esperienza quotidiana (e non parlo solo, fortunatamente, di manganellatori), la complessità del pensiero è spesso bandita, e si presta anzi generosamente ad essere il terreno di coltura di semplificazioni reazionarie che hanno spesso esiti violenti… mi viene da pensare, e questo lo dico con uno spirito un po’ provocatore, che forse la definizione di alcune di quelle personalità, sicuramente tormentate, come di destra sia una ipersemplificazione assai riduttiva.”

    Certo, Feminoska (ciao anche a te), se Pound si svegliasse e trovasse il suo nome nelle decine di “Casa Pound”, gli si rivolerebbero le budella.
    Il discorso sulla destra è così complicato anch’esso, che me ne tengo alla larga, col rischio di fare, è vero ahimé, delle “ipersemplificazioni”.

    • madhunitai scrive:

      D’altronde è anche odioso doversi obbligare non esprimere pareri o ricercare o comunque dover sopprimere la curiosità perché un certo gruppo di persone potrebbe associarti ad una determinata idea, magari appellandosi alla “memoria storica” e alle manganellate, mi sembrano discorsi degni del più becero dei maurizi costanzi, demagogici, populisti e in ultima analisi, squisitamente reazionari.
      Gli esoteristi o un certo tipo di spiritualisti ad esempio vorrebbero leggere Steiner, Blavatsky, Evola, Guenon, Gurjeff o anche (come citava il buon vecchio Maurizi) gli Esercizi Spirituali di Loyola senza volersi sentir etichettare in questa o quella categoria.
      E’ anche vero che è altrettanto odioso sentirsi parlare dei gulag, dell’holodomor o di Pol Pot come risultati di una certa ideologia, no?
      Abbandoniamo quindi l’obbligo di vedere il male ovunque, già c’è Padre Amorth che ne è un gran professionista, per sentirci accettati da quella o da questa società. Perché altro non è.

  16. Rivolta contro il mondo moderno scrive:

    Gentile Colla, Le faccio i miei vivi complimenti: di questi tempi conviene vendere il deretano al nemico. Mi basta una Sua affermazione : “mi sono sempre piaciute la Rivoluzione francese e quella d’Ottobre, e ho sempre apprezzato l’Illuminismo”.
    Lei è figlia della Dea Ragione e di tutto ciò che ha dato vita al marcio mondo in cui viviamo, compresa la deificazione definitiva dell’antropocentrismo. Non parli, quindi, a nome della “Destra” ( quella vera, intendo). Un sentito in bocca “al lupo” per il suo tentativo di “infiltrazione” a “sinistra”, consequenziale, d’altronde, alla Sua attività con gli amici di “Orion”. Quanto a “noi”, continuiamo a rimanere “lupi azzurri” ( Le dice qualcosa questo? O ha ripudiato le Sue “famigerate amicizie”?). Non abbiamo certo bisogno di elemosinare un posto al sole ( dell’avvenir ?) per continuare la lotta per la Liberazione animale. I migliori saluti.

  17. canto del cigno scrive:

    Buongiorno, evito assurdi giri di parole e pretenziosi quanto assurdi e chilometrici “sfoggi” di cultura e di intellettualismo che tanto vanno di voga, vedo, da queste parti. Destra sì, destra no…destra animalista, destra non animalista… destra antispecista, destra specista. Perchè non affrontiamo la questione: può un marxista essere sinceramente interessato alla liberazione animale ( non umana) ? No, non può esserlo…!
    Cordialmente

    • MM scrive:

      Questo è un blog di filosofia ed è abbastanza curioso, oltre che poco rispettoso per gli interlocutori, entrarci parlando di “assurdi giri di parole e pretenziosi quanto assurdi e chilometrici “sfoggi” di cultura e di intellettualismo”. La sua opinione, che vale quanto le altre, diventa interessante e discutibile solo se viene argomentata. Ci potrebbe fare la grazia di offrirci un’argomentazione?

    • Ettore B. scrive:

      Ah, beh, allooooora.

  18. madhunitai scrive:

    Un po’ è vero che c’è la tendenza a parlarsi addosso, una tendenza che sicuramente crea delle distanze dal proletariato e forma un èlite di “dirigenti” pensanti in una sorta di ritorno al varnashrama dharma.
    Ora però sono davvero incuriosito e interessato a saperne di più, se possibile in “parole semplici”, circa la tesi che un marxista non può essre interessato alla liberazione animale.
    Io sono dell’idea, ma è una cosa mia e capisco che, per alcuni, è spaventosa, che tutti debbano poter fare tutto ciò che vogliono come vogliono, ovvero un marxista può dichiararsi animalista come un nazista può dichiararsi sessantottino o, meglio ancora, hippie. Destabilizzazione pura, altrimenti non si esce dalla pietrificazione.
    Per ora, tranne alcuni casi, vedo solo file di intellettuali in fila dentro le fabbriche del pensiero, i pensifici.

    • canto del cigno scrive:

      Gentile Madhunitai. La mia chiaramente era una domanda provocatoria, dettata dal fatto che è sempre e solo la “Destra” ad essere messa sotto processo riguardo eventuali “permessi” che quasi deve chiedere per poter definirsi difensore dei “diritti animali”. Concordo con ciò che ha scritto e rabbrividisco quando leggo di cattolici che possono essere animalisti al 30%, i “fascisti al 50%,i “nazisti”…( meglio non nominarli!), i pagani al 70%, i socialisti al non so quale percentuale e gli anarchici e i marxisti al 100%. Racchiudere sotto categorie di “pensiero politico” la lotta per i diritti animali è uno sfregio specista(?) di stampo ideologico. Pura e semplice discriminazione. Ripropongo la domanda: come un marxista può conciliare l’antropocentrismo insito nelle teorie a cui si riallaccia con la difesa degli animali non umani? O meglio, dove gli deriva questa sua “precedenza” rispetto alla “destra”? Capisco che nella storia del pensiero debole ci si è sempre arrampicati sugli specchi per poter indossare nuovi abiti ( si prendano come esempio le illuminazioni spiritualiste improvvise che hanno traghettato tanti adepti del “materialismo marxista” alle “ascesi” – in questo caso discese – mistiche che non potevano che confluire nelle castronerie new age), ma appropriarsi dell’”animalismo” con i giochi di prestigio dell’illusionismo “antispecista” mi pare l’ennesimo tentativo di intorbidire acque limpide. Un’ultima osservazione: si dà sempre per scontato che l’antispecismo sia un “progresso” rispetto al puro e semplice “animalismo”. Un giudizio a priori non per forza di cose universalmente valido dal punto di vista, preciso, dei diritti degli animali non umani e che odora di bieco e subdolo interesse antropocentrico. Saluti.

      • MM scrive:

        Mi perdoni ma lei pontifica su filosofia e antispecismo accusando gli altri di essere arroganti, il che fa solo sorridere. Sono state scritte molte cose, qui e su altri siti e riviste, a proposito di questi temi di cui lei parla senza evidentemente essersi prima informata sull’argomento. Dunque mi sembra davvero inutile risponderle, anche perché i suoi modi sono inutilmente scortesi e scoraggiano ogni sereno confronto.

        L’avviso comunque che il suo precedente commento, privo di contenuto e puramente offensivo verso i gestori di questo blog, è stato cancellato, e la informo che così sarà per tutti i messaggi in cui si limiterà a riversare il suo incomprensibile disprezzo verso di noi. Se non le stiamo simpatici è libera di frequentare altri siti in cui potrà confrontarsi con altre persone simpatiche, informate e umili come lei.

        Buona vita.

  19. canto del cigno scrive:

    Reputa un’offesa essere accusato di “esagerazione” per il suo autodefinirsi “filosofo” e per essermi definito io, al contrario Suo, un semplice nano sulle spalle dei giganti, un umile ripetitore del pensiero filosofico ? Accetti le critiche, sig. MM, e imparerà che nella vita si può essere apprezzati anche nell’umiltà.Il commento da lei “purgato” aveva molto più significato di quelli che ha lasciato in essere. Si tranquillizzi sul fatto che io possa sapere “qualcosa” su Filosofia e Antispecismo e impari a confrontarsi con un mondo che è “altro” dal suo. E’ nell’incontro con la diversità e dalla sua reazione a questa che potrà comprendere se merita di reputarsi un “antispecista doc”. Troppo semplice quando si condivide lo stesso pensiero, dimostrare di essere aperti e tolleranti.
    Saluti
    Cordialmente

    • MM scrive:

      No, quella sciocchezza non mi tange visto che è lei a definirmi “filosofo” nel senso pretenzioso che lei dà alla parola. Se poi trova da qualche parte che io abbia mai scritto di essere “filosofo” nel senso di essere un “grande filosofo” le darò ragione ma da quel poco che vedo lei scrive in modo avventato e di cose che non sa.

      Il suo commento è stato moderato perché lei, senza argomentare (pare che sia un suo vizio, tremo al pensiero di come possa lei insegnare filosofia ai suoi allievi…), ha descritto questo luogo e le persone che vi scrivono come gente pretenziosa che si dedica allo sfoggio di cultura. Poiché in questo luogo scrivono tante persone e anche esterne al blog stesso, il suo generico e sprezzante commento era inutilmente offensivo.

      Ossequi.

  20. Io Luca la chiamerei una fortuna che la sinistra non sia solo più marxista, anche la sinistra marxista, ma abbia accolto elementi di critica che solo da un punto di vista di marxismo ortodosso possono essere definiti di “destra” e astorici.
    Esiste di certo un pensiero politico che può essere caratterizzabile in qualche modo come “astorico” sia di destra come di sinistra (l’anarchismo classico con la sua fede nella bontà umana radicata biologicamente non è meno astorico di certe critiche politiche antimoderniste di destra ce si rifanno a “valori originari” spirituali).

    Ma che il panorama finisca qui, tanto più con la sutura di Paolo Rossi mi pare a dir poco riduttivo. Il positivismo ha avuto una preparazione come una continuazione modulata sull’impossibilità (storica) di affermare graniticamente certe posizioni.
    Ma dire che lo scientismo cominci e finisca lì è quantomeno ingenuo. Basta leggersi le “mappe fondazionali” delle scienze contemporanee per rendersene conto. E il problema dello scientismo è buona parte del problema della modernità, coll’espulsione del pensiero non razionale (cioè non orientato alla ratio fondazionista) nell’esilio dell’irrazionale.

    Il perdurante attacco a quel pastrocchio artificiale di autori di diversissima provenienza che viene nominato come “postmodernismo” ne è la dimostrazione, la dimostrazione del perdurare a lungo termine del paradigma scientista sebbene in una cornice “critica”. D’altra parte da sempre la peste di ogni marxismo sono stati i vari scientismi, positivisti o meno, e il rifiuto di Hegel. Trappola che i “critici della modernità”, come li chiami tu, Adorno Horkheimer e Marcuse hanno sempre attentamente evitato. Dove sia l’astorico in termini marxisti in questi autori io sinceramente non lo capisco proprio. Che essi abbiano “introiettato” elementi di pensiero politico di destra necessita dell’onere della prova e non di affermazioni apodittiche.

    Se poi ci riferiamo a pensatori, a filosofi, che hanno fatto scelte di “destra” nella loro vita, scelte che hanno ovviamente condizionati il loro pensiero, o *fasi* – ripeto *fasi* – del loro pensiero, due sono le possibilità: o non c’entrano con i Francofortesi (penso a Junger e Schmitt – non antimodernista di certo il secondo, ma legato a una tradizione di teologia politica che non non fa fino in fondo i conti con la modenità), oppure, quelli che hanno influenzato i Francofortesi, definirli “di destra” ha tanto senso quanto definirli antimodernisti o pensatori “astorici”, cioè: zero. E’ ovvio che mi sto riferendo in particolare al mostro dei mostri, Professor Heidegger.

    Il rifiuto del cui pensiero come astratto, astorico, antimodernista e destrorso mostra la corda di tutti i marxismi che non hanno fatto i conti col positivismo e in generale con le declinazioni dello scientismo.

    Leggere Heidegger seriamente significa proprio fare i conti con la storia, e in particolare con la storia delle pretese invarianti astoriche della scienza.
    Ma c’è di più. Leggere Marx senza Heidegger, e senza Derrida, aggiungo, significa non fare i conti con la storicità data di nozioni come “materiale” e “concreto” a cui tutti i marxismi si abbeverano acriticamente, così come con la storicità data di metodi come il materialismo dialettico.
    Per dirla in soldoni, quello che si capisce leggendo questi autori è che non esiste alcun metodo “astorico”, come pretende a conti fatti il marxismo, né nozioni “astoricamente” invarianti come quelle di concreto e materiale. Ma che tutte queste determinazioni (della storia, della struttura delle cose) sono anch’esse storiche, inerite nel divenire, e in quanto tali transeunti, se vogliamo “mortali”. E di più: che esse fanno parte di una tradizione che è quella occidentale, che si può caratterizzare facilmente come “fondazionista” (la storia occidentale è storia dell’erranza della verità – non dell’errore – ma insieme è la storia – attraversata dall’elemento unificante – dell’ingiunzione di fondamento.
    Questo elemento, non sondato, come ho espresso in polemica con lo stesso, a me caro, Marco Maurizi (vedi il mio post Pensieri cattivissimi, ma soprattutto la polemica che ne è seguita fra di noi), infesta residualmente anche pensatori che hanno “decostruito” la tradizione hegelo-marxista, riattualizzandola, come Adorno.

    Ma non riaprirò qui la polemica :-) , tanto più che Adorno e i Francofortesi in generale sono un passo avanti – riguardo a questo problema – a qualsiasi marxista più o meno ortodosso, e la Dielettica negativa è una pietra miliare per qualsiasi marxismo degno di questo nome all’altezza dei tempi.

    Detto questo, faccio notare che il problema della storicità delle nozioni filosofiche così come della “condizione umana” (e dei viventi) in generale presenta un punto critico che è la ricorrenza di alcuni tratti che, all’apparenza, potrebbero apparire “astorici”.
    Tutti i viventi condividono, a partire almeno da un certo punto della storia dell’evoluzione, e secondo una linea punteggiata di discontinuità, la possibilità di provare emozioni, di abitare il mondo percependolo, di muoversi in esso trasformandolo, e poi vari gradi di coscienza e autocoscienza ecc ecc…
    Salto qui la critica alla comprensione “biologica” di tali fenomeni, comprensione dalla quale è espulso il “senso”, secondo una logica soggettivista-psicologista, che fa di quello un mero epifenomeno del comportamento.
    Quello che mi interessa puntualizzare è che se letto secondo una logica storica – e non storicista – radicale – cioè evenemenziale – tali invarianti si presentano piuttosto nel modo, appunto, della ricorrenza.
    Questo significa che, facendo tesoro anche della logica stocastica dell’evoluzionismo, spogliato dal suo involucro biologista cristallizzante, ciò che abbiamo davanti agli occhi sono una serie infinita e discontinua di “ripetizioni differenzianti”, sia dove a dominare pare essere la natura (trasmissione di tratti per via genetica), sia dove a dominare pare essere piuttosto la cultura (trasmissione di tratti non genetici per via sociale, relazionale, ecc…). Dico “pare” perché la dicotomia natura/cultura è un presupposto che va fatto saltare, ma qui non c’è (per me, almeno ora) né lo spazio né il tempo per avviare la questione.
    Quel che resta di importante direi, è comunque che un’ottica di questo tipo impone una dislocazione radicale del modo in cui guardiamo alla storia (sia essa umana, non umana, del pianeta ecc…), perché dove si introduce l’elemento dell’evenenzialità qualsiasi visione della storia, non solo cumulativa ma in generale incentrata sulla ratio crolla. Per cui non ci troviamo più davanti a una storia di errori e verità, ma a una storia di eventi che determinano la struttura delle cose di epoche differenziali.
    Non solo: è qualsiasi storicità lineare-progressiva a incrinarsi e piegarsi. Per cui al posto della retta o del cerchio ci troviamo davanti a una spirale, in cui il passato riviene, ritorna su se stesso, ma mancandosi, cioè mancando l’origine e facendola rotolare via. In questo sguardo il passato non né morto né eterno, ma ritorna nell’apertura del futuro, che fa del passato un tempo vivente. Evento è il nome di un nuovo inaudito che non si lascia indietro il passato come un oggetto, ma lo fa ri-(e)venire in una costellazione impensata (ri-evento). Ripetizione e differenza, ripetizione come differenza. Credo che questa lettura an-originaria della storia metta in tensione anche le leggi della dialettica, ma ripeto che non voglio riaprire qui la tenzone con Marco (magari più in là).
    Certo, la logica della ricorrenza come (ri)evento mi pare risolvere meglio la questione delle invarianti, che smettono di essere tali, della dialettica, in cui il generale cerca il suo particolare e l’astratto il suo contenuto empirico.

    Spingendo le cose ancora un po’, la spirale (come fa notare l’odiato Latour :-) ) misura il tempo secondo una retta in cui il punto d’origine va scomparire, e insieme secondo i raggi e i segmenti dei raggi della spirale. Latour la usa per dire che, per esempio, non è tanta la distanza fra noi e gli egizi se consideriamo l’uso della spazzola per capelli lungo il raggio e non la retta. Questo doppio regime di temporalità può generare una multitemporalità esplosiva, in cui le linee di fuga infinite, che eccedono persino i raggi, disegnando intersezioni inaudite che, per così dire, portano al di là della spirale stessa, verso fughe abissali e incalcolabili.
    Che è come pensare alla destinalità heideggeriana che a partire dall’evento delle tecnica (in cui la storia, appunto, si può ripensare insieme come successione evenemenziale e come storia occidentale dell’ingiunzione del fondamento) come una Fuga (in senso musicale) in cui viene meno la com-pagine che riunisce gli invii-storico destinali (l’ingiunzione di fondamento), disseminandoli. Una Fuga insomma che si libera dai codici tonali (ritmici e armonici) della tradizione, lasciando ascoltare una musica inaudita. Che è quella delle esistenze singolari plurali nelle loro infinite relazioni, la cui temporalità, in quanto temporalità dell’incontro, mette, dicendola con Derrida, infinite alterazioni in chiave. Un contrappuntismo le cui regole sono giochi senza regole.
    Una storia esplosa, insomma. Lungo linee di fuga incalcolabili.

    (Potrei proporre anche la figura di una doppia ellisse in cui la linea trascorre continuamente da una all’altra, in cui il fuoco dell’origine e del telos sono decentrati, rotolando fuori da se stessi. O quella topologica del nastro di Moebius, in cui si è trasportati continuamente sull’inverso dello stesso piano, cosicché, come in alcuni film di Lynch, le esperienze si ripetono continuamente ma in modo sempre nuovo.
    Ma qui Leonardo comincerebbe a bacchettarmi sulle mani per il mio uso sconsiderato delle discipline basate su giudizi analitici. Che, d’alta parte, come ha dimostrato Quine, in realtà non sono tali :-D )

  21. Non per non entrare nel fuoco della controversia.

    Ma qualcuno si ricorda di quando una certa ex-ministra accusò la componente di sinistra del movimento di “volersi accaparrare la questione animale”?

    E d’altra parte questa stupidata (è una stupidata perché storicamente l’antispecismo, ancora prima di essere definito come tale, nasce nell’ambito della sinistra libertaria: il che significa che se qualcuno vuole un antispecismo di destra SE LO FACCIA, invece di piagnucolare nel vuoto di elaborazioni ed esperienze e pratiche, ma soprattutto la pianti con la storia DELL’ACCAPARRAMENTO) si legge ogni giorno sugli stati di utenti Fb che, purtroppo, non basta definire “imbecilli”, perché sono espressione piuttosto di una cultura, o meglio di una struttura economico-sociale-antropologica e blabla, dominante.
    E sono LA MAGGIORANZA, piaccia o no, del movimento (mi permetto la megalomania di rimandare a questa parte di un mio articolo qui pubblicato http://asinusnovus.wordpress.com/2012/05/29/davanti-a-caino-gli-animalisti-e-la-forca/
    e a questo, pubblicato su anet
    http://www.antispecismo.net/index.php?option=com_k2&view=item&id=49:linciaggi-felici).

    Il punto qui però è che la questioni delle patenti, nel movimento, non mi pare proprio riguardi tanto la destra, ormai, quanto questo sparuto gruppo (minoritario) di sinistrorsi. Alcuni dei quali si incaponiscono a definirsi antispecisti (anche se in fieri, per pratiche, pensiero, opere, vita morte e miracoli) perché l’antispecismo è il progetto (in fieri, ci mancherebbe) di liberazione umana e non umana che l’animalismo non ha mai espresso, se non magari in forma eccezionale, personale e di buona volontà e benevolenza.

    Però, su questo punto attenzione, perché come direbbe Marco, non si possono trascurare i fatti concreti e materiali.
    Perché in italia si è cominciato a parlare di antispecismo così tardi?

    E’ un caso che in Italia Singer (Liberazione Animale) sia stato tradotto 13 dopo la sua pubblicazione, mentre l’animalismo aveva la sua bibbia in Imperatice Nuda di Ruesch (un libro di critica, o denuncia, buona o cattiva, della scienza: in cui non dico non c’era un briciolo di filosofia, ma manco di analisi storica e socio-politica della costruzione dello specismo)? Lo stesso Ruesch era di fatto a capo del movimento.

    E’ un caso? E’ un caso, l’Italia?

  22. negazione scrive:

    sport nazionale della destra radicale italiana:
    trovare ogni giorno nuovi modi di definirsi e non essere bollati come fascisti.
    elemento di novità: essere di fatto in parte dei propri pensieri, nei contenuti che si diffondono, nelle amicizie e complicità esplicitate attraverso i canali sociali virtuali, organici a una visione parafascista\criptofascista\come vogliamo chiamarla (e definisco: autoritarismo di fondo, nazionalismo travestito da antiamericanismo, sentimento antireligioso selettivo per cui il cattolicesimo e il giudaismo no ma l’islam si, pseudofemminismo mobile e relativo,etc etc etc) ma dire di ripudiare la destra.

    Complimenti ad Alessandra Colla, Marco Maurizi e tutto lo staff di Asinus Novus per quest’ulteriore sfoggio di virtuosismo acrobatico, di equilibrismo filosofico, di metamorfismo mimetico…

    Come se avessimo bisogno di ulteriore “caos” in questo momento storico e agli albori di un movimento per la liberazione di tutti gli animali, non umani e umani…

    • MM scrive:

      Complimenti a te per il tuo saggio di “pensiero magico”: cioè la diffusione del fascismo per contatto. Quindi, fammi capire, saremmo tutti addirittura “organici” alla visione parafascista\criptofascista a prescindere da quello che uno pensa. Perché sinceramente, delle cose che dici, vorrei proprio capire dove stanno in quest’intervista: gli elementi autoritari, nazionalisti, religiosi e pseudofemministi (ovviamente c’è il femminismo doc, che è il tuo, e quello di un altro che ti sta sui maroni che è “pseudo”).
      Così per capire, vorrei anch’io imparare l’arte magica ma finora non ho trovato lo sciamano adatto. Forse grazie al tuo aiuto posso riuscire anch’io.

    • madhunitai scrive:

      Paura del nuovo, eh?

    • Begli argomenti.
      Praticamente paroliberismo.

      Sport nazionale della sinistra italiana (di cui, ahimè, faccio parte): antifascismo come paranoia, incapacità di pensare non per figurine, esprimersi per slogan, identitarismo comunitario, ricerca indefessa del capro espiatorio esterno ed interno (il fascista e chi se la fa col fascista) ovviamente al fine di tenere insieme una comunità organica che scricchiola da tutte le parti (come ogni comunità organica) rovesciando il potenziale di conflittualità interna sul nemico immaginario di turno; nonché complottismo come metodo d’analisi della realtà, autoritarismo speculare (da cui, per diniego e proiezione buona parte della paranoia), microfascismo da CSA a progettualità zero.
      E soprattutto categorie vecchie come il cucco, rifiuto della complessità, dei cambiamenti, di qualcunque pensiero che non porti il marchio ufficiale e autorizzato antifa inc.

      “People cling to things to make their lives seem real
      Crawling like bugs at some fool leader’s heels
      Boasting of freedom when they’re tied down with chains
      It’s time to give it up. here comes the death rain…”

    • Serena scrive:

      Complimenti a voi, che avete ancora voglia di rispondere agli insulti (di argomenti neanche l’ombra) di questi cafoni, sempre rigorosamente anonimi.

      • negazione scrive:

        insulti non ne ho visti nel mio commento, nel tuo mi definisci cafon*
        l’anonimato ti disturba?a me no sinceramente, si parla di idee non di persone.
        mancano i contenuti? ne basterebbe uno, l’antifascismo. che qui però latita.
        che argomenti ti devo portare, che avete fatto una difesa d’ufficio ad una vostra collaboratrice che sa molto di coda di paglia? che le domande sono poco precise e sembrano poste ad arte per non centrare i punti dolenti? che il semplice fatto che l’intervistata sia direttrice responsabile di una rivista di destra radicale che pubblica autori di estrema destra sia stato sminuito e passato come una cosuccia?
        dai su, darsi una svegliata.
        è interessante notare questa mitopoiesi:
        i cattivi, intolleranti, violenti, estremisti,ignoranti, incapaci di dialogo ora sono gli antifascisti.
        cafonamente tu*
        anonim* con entusiasmo.

      • MM scrive:

        si parla di idee non di persone

        infatti s’è visto. Ecco l’essenza del tuo ragionamento: “Quello che dice X non lo leggo e non lo critico nel dettaglio, tanto non serve, visto X è…”

        L’intervista ha per oggetto qualcosa che è indicato nel titolo e le domande sono centrate su quell’argomento. E sono molto precise visto che lo scopo dell’intervista era chiarire ciò che X pensa di quella questione lì.

        Invece di gridare “svegliaaaaaaaaaa” sui social network come fanno tutti i bimbiminkia antifa di questo pianeta, prova a impegnarti un po’ nel confronto teorico che male non ti fa.

      • negazione scrive:

        giusto per farsi un’idea di alcuni libri pubblicati dall’editore di Eurasia…

        http://www.insegnadelveltro.it/libreria/?page_id=806

        editore che può far quel che vuole per quanto mi riguarda…ma magari è anche giusto che si sappiano le cose…

        e ora io ritengo che una persona che dice di non essere di destra e di essere antispecista NON POSSA IN COSCIENZA collaborare con uno schifo del genere.
        questo è il mio pensiero , condivisibile o meno.

        ma forse il filosofeggiare sempre di più su qualsiasi cosa è più importante che la demistificazione di idee antisemite, razziste, xenofobe, autoritarie, nazionaliste…quanto siamo cattiv* noi antifascist*

        sempre più entusiasticamente anonim*

      • MM scrive:

        Ecco un altro saggio di pensiero magico. Rettifico il tuo ragionamento: “Non leggo ciò che scrive X e critico chi lo intervista a prescindere perché X è redattore di una rivista pubblicata da un editore che pubblica libri che non ho letto ma che sono scritti da autori che non conosco ma che io sono convinto che…”. Ma io davvero perché perdo tempo a parlare con te?

        La tua non è demistificazione di un bel nulla, è solo il compiacerti di aver trovato nella grettezza e nell’incapacità di discutere la conferma della tua appartenenza ad un gruppo.

        Buon divertimento col tuo antifascismo identitario, avrai sicuramente tanta buona compagnia!

      • negazione scrive:

        ma quanti giri di parole ci devi mettere? ma non ti rendi conto che sei tu che nel tuo voler essere assolutamente aperto intellettualmente alla fine non vedi la realtà nella sua semplicità?
        devo leggermi Faurisson per sapere che Faurisson è un negazionista?
        dai veramente, mi fa deprimere come non si riesca ad accordarsi nemmeno sul fatto che se uno è contrario ad idee fasciste NON deve collaborare con un editore fascista. veramente, perdersi in un bicchier d’acqua. poi non ti va bene la critica e allora spari addosso a chi dice una cosa dandogli dell’identitari* , questo è il tuo modo di dialogare.
        ho già detto che sono MIE convinzioni e che non le voglio imporre a chicchessia.
        ti giuro, mi fai deprimere, pensavo si fosse un po’ più avanti di così.

      • MM scrive:

        Qui non c’entra proprio niente l’essere “aperti intellettualmente”, io non sono aperto proprio per nulla, i fascisti mi fanno e mi hanno sempre fatto schifo. L’unica cosa è che “fascista” significa, se le parole hanno ancora un senso, o un picchiatore o uno che ha un pensiero identitario-gerarchico-reazionario-antisocialista-nazionalista-machista-razzista. Ora che ci hai dimostrato di sapere chi è Faurisson, vorresti dirci, di grazia, posto che qui non c’è alcuna apologia della violenza, dove nell’intervista trovi l’elemento identitario-gerarchico-reazionario-antisocialista-nazionalista-machista-razzista? Se lei sta qui su Asinus è semplicemente perché nei suoi testi e interventi io questo elemento, che *è* la quintessenza del fascismo, non ce l’ho trovato. E visto che l’ho intervista l’ho sollecitata per sapere se non ce lo vedevo io ma c’era oppure non c’era. E chiunque può giudicare da sè tutto ciò leggendo e criticando nel dettaglio ciò che ha scritto, come ha fatto qui sopra Luca Venitucci che è l’unico che si è impegnato nel cercare eventuali contraddizioni in ciò che dice la Colla. E questo, solo questo, è l’atteggiamento corretto. Perché è l’unico che permette di smascherare il fascismo, come stile di pensiero, anche laddove apparentemente non c’è: a sinistra. Questo, e solo questo, è l’interesse di questa intervista. E se a te basta che un coglione qualsiasi di un centro sociale dica “io so’ antifa, merde fasciste!” per accoglierlo come “compagno”, beh guarda penso davvero che la sveglia te la devi dare da solo.

      • @ negazione: forse leggerti Faurisson, come fanno gli storici seri, compreso uno storico dell’antichità come Vidal-Naquet, ti permetterebbe, con l’ausilio di quegli storici, di smontare gli pseudo-argomenti revisionisti: in modo tale da spiegarlo a chi ci casca o rischia di cascarci, e non farcelo cascare.
        Ma se davanti a uno che ci sta a cascà e ti porta i suoi pseudo-argomenti, tu sai solo rispondere che è un fascista di merda (Faurisson e magari pure lui), quello, fra te e Faurisson, chi sceglie?
        E poi ci permettiamo di lamentarci se la destra avanza. Di chi è la colpa, se non del nostro atteggiamento intellettualmente lassista e delle nostre battaglie a suon di retorica e spranghe?
        Davvero, se un decimo dei libri che affollano le bellissime librerie dei CS, venisse letto da chi li frequenta i CS e non solo da chi gestisce le librerie (guarda caso, in genere sempre vecchi magnifici anarchici semi-emarginati), allora sì avremmo un barlume di risveglio.
        Ma, detto fra noi, succede in pochi CS. Succede, ma in pochi.

        @ feminoska: sono in linea teorica d’accordo con quello che dici sull’anonimato e l’identità fluida ecc…
        Peccato che nella pratica, queste possibilità (quelle offerte da tecnologie come internet) vengano largamente sfruttate anche da chi fa dell’identitarismo la propria bandiera, e dello sfottò (fascista) il proprio metodo.
        Quindi, nei fatti, le cose stanno in modo meno lineare di come vorresti.
        Per non parlare del doppio taglio di queste possibilità, che sono le tecnologie di controllo che degli pseudonimi se ne fragano assai.

        Poi si potrebbe discutere se sia corretto rivendicare quelle possibilità in uno spazio in cui tutti quelli che scrivono (ahinoi, non avanti come te) han scelto di usare i propri nomi e cognomi anagrafici, a partire da chi, intervistata, senza pseudonimi, sei qui a criticare.

        Ma forse questo ti risulterebbe pedante

      • feminoska scrive:

        @ feminoska: sono in linea teorica d’accordo con quello che dici sull’anonimato e l’identità fluida ecc…
        Peccato che nella pratica, queste possibilità (quelle offerte da tecnologie come internet) vengano largamente sfruttate anche da chi fa dell’identitarismo la propria bandiera, e dello sfottò (fascista) il proprio metodo.
        Quindi, nei fatti, le cose stanno in modo meno lineare di come vorresti.
        Per non parlare del doppio taglio di queste possibilità, che sono le tecnologie di controllo che degli pseudonimi se ne fragano assai.

        Poi si potrebbe discutere se sia corretto rivendicare quelle possibilità in uno spazio in cui tutti quelli che scrivono (ahinoi, non avanti come te) han scelto di usare i propri nomi e cognomi anagrafici, a partire da chi, intervistata, senza pseudonimi, sei qui a criticare.

        Ma forse questo ti risulterebbe pedante.

        Non mi risulta pedante, è semplicemente una questione di scelta personale (e la mia scelta personale in merito, da quando ho iniziato a scrivere su femminismo a sud, è stata quella di usare uno pseudonimo). Per quanto mi riguarda non è il nome e cognome a fare la differenza, ma l’onestà intellettuale delle persone con cui ragiono (anche via web). E questa, presto o tardi, traspare sempre.

      • feminoska scrive:

        Ciao Serena, penso dovresti leggere – in proposito del discorso sull”anonimato’, ma non solo, è un testo molto interessante per tanti versi – il libro del collettivo Ippolita ‘nell’acquario di Facebook’. Un piccolo estratto – riferito a Facebook, ma riapplicabile in molti altri contestii:
        “La prima cosa che si condivide su Facebook è naturalmente la propria identità […]
        Facebook non vuole nomi falsi. La ragione sarebbe che «Facebook si basa sulle interazioni che avvengono nel mondo reale. L’uso di pseudonimi contraddice i valori su cui si fonda il nostro sistema. Gli utenti che usano nomi falsi sono più propensi ad eseguire attività che violano le nostre normative. Questo principio è importantissimo per noi, pertanto rimuoviamo gli account falsi non appena ne veniamo a conoscenza.» Ippolita, che usa un nome collettivo eteronimo e promuove la creazione di identità multiple e in divenire, non può che trovarsi in profondo disaccordo. A prescindere dal fatto banale che l’identità di un individuo, anche dal punto di vista biologico, è in continua mutazione, e che un nome e una data di nascita sono decisamente troppo poco per individuarmi, l’identità è pur sempre una rappresentazione. È il teatro dell’io che si presenta al mondo. L’identità è frutto di una costruzione incessante, non è un dato di fatto stabile e immutabile. Solo ciò che è morto è fisso; gli esseri viventi cambiano appunto perché sono vivi.”
        Ciao,
        f.

      • Serena scrive:

        Ciao Feminoska,
        grazie per il consiglio: sicuramente leggerò il libro, che mi sembra interessante. Più che per il discorso sull’anonimato – offendere (le canzonature fini a se stesse mi sembrano forme molto sottili di offesa, sì) senza rivelarsi qualcuno che ci mette il nome e la faccia, e solo in virtù di fastidiosissimi argomenti ad hominem è semplicemente insostenibile, e per ragioni che non hanno niente a che vedere col “sistema” – , per quello sull’identità, e soprattutto sull’identitarismo. Chissà che io vi trovi ulteriori chiavi di lettura per interpretare le massicce epurazioni simboliche cui sto assistendo in questi giorni.
        Grazie di nuovo,
        Serena

      • negazione scrive:

        rispondo qui che pare che nell’altro thread non si possa.

        come già detto ma repetita iuvant io credo che una persona che sinceramente ripudi l’autoritarismo , il nazionalismo , la religione come strumento di oppressione e altre modalità ascrivibili a quello che semplifichiamo come “fascismo” si dovrebbe sentire quanto meno imbarazzata nel collaborare con una casa editrice che è indubbiamente riconducibile all’area della destra radicale e che pubblica tra i suoi libri , oltre ai classici della mistica fascista quali Evola, testi più attuali come i deliri nazionalbolscevichi di Dugin oppure una bella rassegna sul revisionismo storico (interesse filologico bibliofilo fine a se stesso? eretica volontà di presentare a tutti i costi visioni non conformi? o forse invece strumentale a un pensiero antisemita mai veramente superato?)
        Oppure continuare a presentare link a siti quali Stato & potenza o Fascinazione…

        ma questo pare non basti, sono solo le paranoiche visioni di un* benpensante dei centri sociali armat* di spranga (????) e slogan…

        allora vorrei aggiungere un paio di note limitandomi a contributi scritti dell’intervistata presenti qui su Asinus Novus.

        il primo è Olocausto animale…che storia.
        l’articolo è una critica al paragone tra l’olocausto e lo sfruttamento animale.
        Che però parte da una forte premessa: il ridimensionamento della percezione dell’olocausto stesso nell’immaginario collettivo. Lungi da me l’accusare l’articolo di revisionismo o negazionismo, mi colpiscono un paio di cose.
        la prima è che venga citato, guarda caso, il celebre articolo “olocausto o il grande alibi”, comparso nel ’60 su un giornale comunista francese. Già all’epoca destò alquante polemiche e per altro fu in parte un impulso all’area revisionista “di sinistra” che nacque dalla libreria marxista “la vieille taupe”.
        In sostanza dell’articolo viene riportata tra le altre cose la frase seguente:
        “Rifiutandosi di vedere nel capitalismo stesso la causa delle crisi e dei cataclismi che sconvolgono periodicamente il mondo, gli ideologi borghesi e riformisti hanno sempre preteso di spiegarli con la malvagità degli uni o degli altri. Si vede qui l’identità fondamentale tra le ideologie (se così si può dire) fasciste e antifasciste: entrambe proclamano che sono i pensieri, le idee, le volontà dei gruppi umani che determinano i fenomeni sociali. […]”

        questa idea la trovo profondamente pericolosa in quanto non riconosce uno status peculiare alla forma che ha preso storicamente il nome di Fascismo, la ridimensiona e svilisce a semplice “epifenomeno” del capitalismo. Di fatto questo apre all’idea di fronte comune anticapitalista, che è poi l’idea che sta dietro a tantissime realtà che vengono solitamente definite ,forse semplicisticamente, come “rosso-brune”. non solo: in un certo senso ci dice che di fatto vivere sotto una “democrazia” capitalista o sotto un totalitarismo sarebbe equivalente. Fermo restando che condivido l’idea che il fascismo nasca e prosperi come strumentale al grande capitale, ignorare la differenza tra una e l’altra forma che il dominio capitalista possa assumere è fatto grave. Lo stesso errore venne fatto da molti partiti e gruppi di ultra sinistra in germania prima e durante l’ascesa del nazionalsocialismo: sottovalutare la portata degli elementi ultrareazionari e concentrarsi unicamente sulla critica alla socialdemocrazia in quanto funzionale al grande capitale. sappiamo bene che questo ha contribuito al fatto che la sinistra tedesca sia stata letteralmente spazzata via dall’ondata nera.
        Inoltre questo individuare unicamente le cause socio-economiche dell’ascesa dei movimenti ultranazionalisti e reazionari significa volutamente ignorare i fattori culturali e ,reichianamente, di psicologia di massa che invece credo abbiano avuto un peso enorme. A mio avviso tutto ciò concorre nel formare una pericolosa idea di superamento delle differenze di base sulla visione del mondo a favore di una militanza anticapitalista e antimperialista (leggi: anti american-israeliana)

        Anche il ripetuto riferimento al mito epico-narrativo sull’olocausto come se fosse viziato da un particolarismo di attenzione non riservato ad altri drammi storici mi insospettisce non poco. Non è certo mia intenzione negare la tragicità e l’importanza di altri fatti, quali il citato genocidio degli armeni di inizi novecento. certo è che lo sterminio programmato ed eseguito con modalità fino ad allora riservate alla produzione industriale è DI FATTO un elemento di novità storica, elemento che rende l’olocausto si un discrimen epocale, al contrario di quanto dice l’autrice dell’articolo. questo ridimensionamento, per quanto lo si possa motivare (e onestamente ritengo molto deboli tali motivazioni) non riesce a non stridere nella mia mente. tanto più dal momento che è esplicato da una persona che viene dalla destra radicale e con le connessioni di cui sopra. posso essere paranoico, certo, ma non vi fa pensare qualcosa tutto questo? col massimo della buona fede posso pensare che sia appunto il background di provenienza dell’autrice a indirizzare questo suo pensiero e nient’altro. se poi mi si vuole attaccare dicendo ancora che la mia è un’offesa ad hominem rispondo che mi dispiace, ma in alcuni contesti anche CHI DICE una cosa ha un suo peso.
        e allora il lato paranoide di me si chiede perchè tra tutti gli argomenti di cui poteva parlare abbia deciso di affrontare l’olocausto , e di farlo in questo modo. e non in quanto sia un taboo intoccabile, ma perchè va proprio a toccare alcuni punti che sono molto delicati e che hanno aperto spesso fratture anche in seno alla sinistra.
        altri punti che non mi piacciono affatto: quello in cui si dice che di fatto solo la piccola e media borghesia ebraica finirono nei campi di sterminio…in sostanza nessun ebreo appartenente ai ceti popolari finì nelle camere a gas. o forse non esistevano ebrei al di fuori della classe borghese.
        inoltre si dice che l’alta borghesia si salvò in quanto impapocchiata col potere economico e politico e dunque intoccabile ” pragmaticamente, il nazionalsocialismo intrattenne fino alla fine proficui rapporti con l’alta borghesia ebraica, composta di banchieri e industriali[…]” che sia successo non sta a me discuterlo non essendo uno storico ma mi pare che questo passaggio tenda a creare un “personaggio”: il banchiere ebreo talmente cattivo da fare affari col nazionalsocialismo alle spalle del suo stesso popolo.
        infine: sottolineare l’uso strumentale dell’olocausto come male che deve far dimenticare i mali quotidiani causati dal capitalismo. qualche forzatura forse? appena appena? mi paiono i discorsi di certi cospirazionisti (guarda caso, scava scava, quasi sempre di destra…)
        il secondo me lo lascio per un altro giorno.

    • negazione scrive:

      un’ultima nota, questa si ad hominem: è veramente avvilente questo teatrino che abbiamo messo su, questa sorta di tribunale del popolo. in tutto questo la mia personalissima opinione è che il problema non sia alessandra colla bensì la redazione di asinus novus. decidendo di inserire una persona con quel background di passato e , ci tengo a precisare, di PRESENTE (ripeto: non penso sia conciliabile dire che l’antispecismo non può stare a destra e non esercitare una cesura con quell’altra parte di se, il lavoro per una casa editrice di estrema destra) era ovvio (salvo totale ingenuità) che si sarebbe arrivati a critiche e disamine e attacchi. tutti benpensanti? non credo. tutti bigotti come dice l’evoliano canto del cigno? se tenere alta la guardia per non far filtrare idee reazionarie nelle cause che stanno a cuore è bigotto viva il bigottismo.
      quindi se era ovvio che il problema ci sarebbe stato la responsabilità di ciò è di chi ha voluto che questo accadesse. per quanto mi riguarda non insinuo affatto che l’intervistata sia una “cattiva” persona (qualsiasi cosa voglia dire) dal momento che non la conosco. dico di più: per sua storia personale potrebbe essere nel bel mezzo di un cambiamento graduale del suo pensiero che la porterà ad abbandonare definitivamente i lidi da cui partiva (auspicabilissimo!), qui si che entriamo nel personale e a volte il personale è inscindibile dal pubblico, come in questo caso. pensare che una persona cambi la propria vita da un momento all’altro con un colpo di bacchetta magica è assurdo.

      ma ciò non toglie che chi è attento a queste cose da bigotti non possa tacere e senta di dover esprimere la propria contrarietà. perché? perché altrimenti, se niente importa, vale tutto! dove tracciamo la linea di demarcazione? gli atti pubblici, esteriori, esercitati da una persona sono il metro su cui ci si deve fare un’opinione.
      e in questo caso i fatti dicono una cosa:
      -una persona in un’intervista dice di essersi allontanata dalla destra radicale ma poi DI FATTO continua a collaborare con una impresa culturale marcatamente destrorsa e reazionaria (anche se i rossobruni preferiscono considerarsi rivoluzionari)che pubblica evola, codreanu , faurisson, dugin e quant’altro.
      questo, signor maurizi, è un fatto, non una paranoia da “idiota dei centri sociali, bimbominkia antifa” come ti piace etichettarmi dall’alto della tua posizione di filosofo.

      quindi questo teatrino triste io lo reputo un episodio di microviolenza che mi sarei evitato volentieri ma la cui causa non ritrovo certo in me ne in chiunque altro abbia criticato queste posizioni bensì in chi con estrema leggerezza ha dato per scontato che basti dire “X non è fascista” per risolvere tutti i problemi e le incongruenze (se in buonafede) , oppure voluto alzare un gran polverone (se in malafede).

      Continui a dirmi che non porto argomenti: a parte l’analisi che ho fatto di un articolo che sicuramente è opinabile non essendo io un* storic* e non avendo l’erudizione di cui si fa spesso sfoggio in questa sede, io credo di aver portato un fatto molto semplice, quello della collaborazione con realtà per me incompatibili con il giovane movimento antispecista. collaborazione attiva, non “fascismo per contatto” , “pensiero magico” o “paranoia” come si vuole far passare qui screditando a priori un’opinione altra dalla propria.

      con dispiacere,
      NEGAZIONE

      • hyenareborn scrive:

        scusate la logorrea, un’ultimissima nota:
        nell’intervista, ancora a proposito del progetto e della rivista Eurasia, l’intervistata si dice condividere in parte alcune cose e in toto delle altre con il prof. claudio mutti, il che è come dire tutto e niente. queste imprecisioni e aree grigie sono ancora ,credo , responsabilità dell’intervistatore che per volontà o leggerezza, non ha voluto approfondire. condivide in parte o in toto la scelta editoriale del prof. mutti sulla pubblicazione di testi antisemiti? condivide in parte o in toto la scelta editoriale di pubblicare i documenti della Guardia di Ferro rumena?
        quello che invece dice apertamente di condividere “in toto” è la visione attuale e moderna della contrapposizione di un blocco eurasiatico al blocco american\israeliano.
        questo , tradotto per chi non vuol capire, significa appoggiare le scelte militari e potenzialmente espansionistiche di un continente. significa appoggiare la cultura della guerra, del militarismo, dell’autoritarismo. significa avallare la bieca politica interna capitalistico-totalitaria della cina, significa avallare la repressione culturale in atto in russia (come gli amici di Stato & potenza esplicitano un po’ meno furbescamente nel loro demenziale sito).
        tutto in nome di un antimperialismo che è in realtà una contrapposizione di imperialismi. Questo per un* comunista o anarchic* libertari* è inaccettabile, è una visione del mondo opposta. Ma anche per un* qualsiasi democratic* moderat* e riformist* è un qualcosa di preoccupante.
        invece no, sono tutte paranoie date dall’estrema frequentazione della curva sud dei centri sociali. grazie ancora per gli insulti gratuiti.

      • MM scrive:

        questo , tradotto per chi non vuol capire, significa appoggiare le scelte militari e potenzialmente espansionistiche di un continente. significa appoggiare la cultura della guerra, del militarismo, dell’autoritarismo. significa avallare la bieca politica interna capitalistico-totalitaria della cina, significa avallare la repressione culturale in atto in russia

         

        ah beh come “traduzione” mi sembra effettivamente logica e totalmente obiettiva. Quindi, fammi capire, se uno si interessa al pensiero geopolitico automaticamente è un militarista convinto? Interessante deduzione. Tipo che se sono gay devo essere per forza pedofilo? Roba così?

        Ti dirò un’altra cosa. Il pensiero geopolitico ha sì un fortissimo limite che però, non a caso, non è affatto quello che individui tu: è piuttosto l’assenza o la messa in secondo piano delle dinamiche di classe. Peccato che questo sia un grosso limite anche di gran parte dell’area antagonista, soprattutto degli anarchici che la dimensione classista non sanno nemmeno dove sta di casa e non riescono a fare un’analisi della società che non trasudi moralismo e individualismo. Quindi, per quanto mi riguarda, da che pulpito! E, se te lo stai chiedendo, sì, io considero MOLTO più pericoloso il pensiero di destra che si cela dietro i distintivi di sinistra che non il contrario. E se la sinistra e i “movimenti” sono allo sbando, non è certo per colpa degli “infiltrati” fascisti, ma perché non si è stati in grado di tenere alto il livello dell’analisi delle dinamiche di classe e ci si è ridotti alla testimonianza identitaria e moralistica.

      • MM scrive:

        Cara Negazione Anonima,

        stavo giusto per complimentarmi per il fatto che fossi riuscita (visto che persisti nell’intervenire lanciando accusa a volto coperto verso persone che invece si espongono personalmente opto per il femminile), dicevo che fossi riuscita a fare un commento ad rem, invece che ad hominem e poi eccoti tornare nel vuoto spinto della chiacchiera bimbominkia antifa, peccato ci tenevo a toglierti quest’epiteto, sarà per un’altra volta (vedi che non perdo mai la speranza negli umani).

        Quello che dici nel commento sopra all’altro articolo ha senz’altro un fondamento (la critica all’Olocausto che parte da sinistra ma poi diventa luogo comune della destra radicale), benché sia dovuto non al tuo interesse alla tematica che li stavamo affrontado (come ora ti mostrerò) bensì fosse solo strumentale a difendere i tuoi attacchi ad personam. Cominciamo da qui: quello che scrivi, in parte condivisibile, è del tutto rovinato dal fatto che ti sfuggono, mi pare, due cose importanti: 1) la Colla non è un naziskin quindicenne che cerca forzatamente una “pezza d’appoggio” nel passato comunista; all’inizio del testo parla della diversa percezione dell’Olocausto che si poteva avere negli anni ’60, il primo dei commenti al testo, che probabilmente nella tua logica paranoide (eh sì, purtroppo è così) tu considererai opera di un fascio-qualunquista, è di un mio amico coetaneo della Colla, militante storico di Lotta Continua e da sempre e tutt’ora persona aliena a qualsiasi simpatia di destra. Tra l’altro cita un brano dell’intervento della Colla in cui è del tutto evidente che non c’è alcuna negazione del “fatto” dell’Olocausto, bensì della sua traduzione in narrazione. E’ proprio questo che risulta insopportabile: se le stesse cose che scrive la Colla le scrivesse/dicesse un militante di “provata fede” allora sarebbero possibile oggetto di discussione, altrimenti no. Penso a Joe Fallisi che compila da anni liste di membri “ebrei” del Partito Bolscevico e altre amenità, ma a lui lo si considera solo un po’ “matto”, visto che è un compagno “storico”. Oppure ad altri, che qui non cito, che dicono cose ignobili su Gheddafi “campione” del popolo libico contro l’imperialismo americano e che, pure loro, si tollerano perché stanno dalla “parte giusta”. Davvero, come sostieni tu, si parla solo di “idee” e non di “persone”? A me non sembra.

        2) Ti sfugge completamente che quell’articolo è stato sollecitato dalla redazione proprio perché sta dentro uno speciale dedicato all’Olocausto animale. Come vedrai dai miei interventi sono lontanissimo dal sottoscrivere quel che dice Alessandra, eppure guarda un po’ chi sono quelli che sono costretto a criticare perché “relativizzano” l’Olocausto. Gente di destra? No, compagni antispecisti di “sicura fede” antifascista. E sai perché c’è quell’intervento di Alessandra in quello speciale? Perché l’Olocausto viene quotidianamente strumentalizzato dagli animalisti con il rischio di fargli perdere il suo significato di “discrimine storico” (che per me, come per te, invece ha). Dunque il suo intervento fornisce a te come a me argomenti da valutare ed eventualmente rifiutare dentro una discussione che BISOGNA fare su questo tema e che nessun sito/rivista antispecista aveva finora fatto. Perché negli ambienti antifa dove circolano liberamente antispecisti che parlano di “olocausto animale” si rischia davvero di negare l’orrore della perscuzione nazionalsocialista (che viene relativizzata di fatto non certo da Alessandra Colla, ma da altri, antispecisti e dichiaratamente antifascisti!). Forse le cose sono un po’ più complesse di come ci piacerebbe pensare e forse per fare chiarezza servono persone che pensano e analizzano in modo chiaro i problemi, non basta avere gente col “cartellino” antifa.

        E qui veniamo al tuo ultimo messaggio ad personam (beh in realtà anche l’altro lo era). Il motivo per cui Alessandra Colla scrive su Asinus Novus è che, a differenza di tanti bimbiminkia antifa, ha delle cose da dire, intelligenti, articolate, le dice in modo chiaro e possono essere oggetto di discussione. Nessuno viene costretto ad accettare le sue opinioni, così come le mie o quelle di Caffo o di altri. Il nostro pregio, se ne abbiamo uno, è che però facciamo delle analisi che si possono condividere in parte o in toto e rispetto a cui si può prendere posizione.
        So che tutto questo per te è irrilevante, sono cose “filosofiche”, si fa solo “sfoggio” di cultura. Ma ti faccio notare che hai appena usato un’espressione (sfoggio di cultura) che è stata usata da un fascista qualche messaggio sopra. Il che non è un caso purtroppo.
        Questa non è un’organizzazione politica, non è un centro sociale, non è un luogo dove si “fa” politica attiva e dove quindi potrebbe aver senso chiedere il pedigree all’entrata o temere “infiltrazioni”…quanto fa sorridere questa megalomania di una sinistra a pezzi – per proprio demerito – che immagina di essere ancora un luogo “goloso” in cui tutti i reazionari non vedono l’ora di entrare. Per far cosa? Condividerne la sfiga? Non parliamo poi del mondo antispecista che è una scorreggia nel vuoto cosmico! Al limite potrei capire nell’animalismo, dove da tempo, Brambille et similia fanno proseliti, proprio perché si è accettata una visione non politica ma moralistica dello specismo.
        Dunque questo non è un luogo dove si agisce, è un luogo dove si pensa per poter agire con maggiore chiarezza. E chi ha paura di essere contaminato dal pensiero fascista è uno che non ha fiducia nel pensiero, nel proprio e in quello altrui. Dunque è, di fatto, un autoritario.

        Cordialmente
        Maurizi

      • hyenareborn scrive:

        a parte il fatto che tu sai benissimo chi io sia, continui a ragionare per compartimenti stagni.

        io:”questo , tradotto per chi non vuol capire, significa appoggiare le scelte militari e potenzialmente espansionistiche di un continente. significa appoggiare la cultura della guerra, del militarismo, dell’autoritarismo. significa avallare la bieca politica interna capitalistico-totalitaria della cina, significa avallare la repressione culturale in atto in russia”

        tu:”ah beh come “traduzione” mi sembra effettivamente logica e totalmente obiettiva. Quindi, fammi capire, se uno si interessa al pensiero geopolitico automaticamente è un militarista convinto? Interessante deduzione. Tipo che se sono gay devo essere per forza pedofilo? Roba così?”

        no,niente affatto roba così. roba così:
        A.Colla: “Credo che negli scenari del post-11/9 la prospettiva delle “piccole patrie” sia ormai decisamente superata: oggi i nazionalismi non hanno più né un significato né una funzione, e certe rivendicazioni sanno irrimediabilmente di vecchio. Invece sono convinta che il continente eurasiatico debba ritrovare una compattezza tale da consentirgli di porsi a livello planetario come soggetto qualificato ed efficace nel ridimensionamento dell’egemonia statunitense e del suo imperialismo d’esportazione.”

        l’intervistata E’CONVINTA DI , non SI INTERESSA DI
        e questa convinzione è che il continente eurasiatico (questo strano spettro che si aggira nelle menti dei rossobruni) debba ritrovare una compattezza per competere con l’egemonia statunitense.
        di cosa si parla, di tornei di ramino per caso?
        a parte che ovviamente quest* anticapitalist* per scherzo non parlano mai di emancipazione di classe o di lotta di classe ma solo di “equilibri geopolitici(ergo:militari) , questa è un’analisi fortemente reazionaria. si individua di nuovo il nemico: il Grande Satana America (e il suo doppelganger Israele) verso cui convogliare le lotte. non quindi verso l’emancipazione reale delle masse dalla schiavitù del capitalismo, (al massimo si parla di finanza, ebrea,massona, tutto quanto possa far brodo) bensì un muro contro muro di opposti imperialismi, ritrovare una compattezza eurasiatica? ritrovare? quando mai ne ha avuta una? sotto gengis khan forse?
        questi sono a mio avviso i miti nuovi creati per rimpiazzare quelli vecchi che , come dice l’intervistata , ” sanno irrimediabilmente di vecchio”
        non di brutto, opprimente, pesante, di vecchio.

        comunque continuo a pensare che non ci sia peggior sordo di chi non vuol sentire.

      • MM scrive:

        sì in effetti non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire, così come non c’è peggior cieco di chi non vuole leggere.

        Io, sarà che sono laureato in quella cosa fumosa che è la “filosofia”, che faccio “sfoggio di cultura”, che “parlo” e non “agisco”, sono solito giudicare uno per quello che fa e che scrive, non per quello che fa altra gente variamente collegata con lui o per le implicazioni nascoste in ciò che scrive che sarebbero evidenti perché l’uccellino ce l’ha detto e perché “per forza è così” o perché “svegliaaaaaaaaa”.

        Quindi penso proprio che non ci sia possibilità di comprenderci su questo. Perdona il mio limite.

  23. madhunitai scrive:

    In nome dell’antifascismo però mi sembra che si faccia molto presto a far comunella con i salotti costanziano/rutelliani della Roma bene, con i sionisti antipalestinesi e con le lobby americane.
    Quindi secondo la succitata legge magica del contatto: gli antifascisti sono radical chic, sono a favore della supremazia dello stato d’Isralele e per il capitalismo più bieco.
    Mi vien da vomitare, ma un po’ di zenzero e limone sono l’ideale.
    Una cosa è certa (e mi scusino i fratellini pucciosi e pelosetti): non sono un coniglio.

  24. canto del cigno scrive:

    Leggo: “L’unica cosa è che “fascista” significa, se le parole hanno ancora un senso, o un picchiatore o uno che ha un pensiero identitario-gerarchico-reazionario-antisocialista-nazionalista-machista-razzista”…….
    Chiedo:l’avete trovata nelle patatine questa definizione? Quasi peggio di quella che vuole che “i comunisti mangiano i bambini”. Ragione aveva Ortega y Gasset quando sosteneva che “destra e sinistra sono due modi di cui l’umanità si serve per dimostrare la propria imbecillità”.
    Qualcuno, addirittura, si scandalizza per i testi pubblicati dal prof. Mutti in linea, questo, con il pensiero bigotto e “sinistro” dei netturbini della morale….
    I miei complimenti e a proposito: ancora non vedo accenni alla Lotta per la Liberazione animale ma solo lo scontro fascismo/antifascismo. E poi l’antispecismo non sarebbe umanocentrico nella sua essenza….? Mah…

    • MM scrive:

      L’abbiamo trovata nell’evidenza storica e nella riflessione teorica che sul fascismo è stata fatta già dagli anni ’20 da personcine di poco conto tipo Benjamin e Adorno.

      ancora non vedo accenni alla Lotta per la Liberazione animale ma solo lo scontro fascismo/antifascismo

      Questo è un post in cui infervora una polemica ad hominem a proposito dell’intervista, non mi pare difficile capirlo. Se a lei questo post non piace può leggersi gli altri dove si parla abbondantemente di animali non-umani. Se invece è qui solo per fare commenti fuori luogo, guardi abbiamo altro di cui occuparci.

      • canto del cigno scrive:

        Ah capisco, Alessandra Colla crea qualche problema da queste parti…ma se non sbaglio nell’intervista si parla anche di animalismo, dove la cara Colla, donna dalla cultura immensa, dà affrettatamente anche la pagella del “buon animalista” a seconda della welthanschauung di riferimento….
        Riguardo Benjamin e Adorno….Santo Dio, sono loro i vostri orizzonti culturali “aperti”?….Qualche incursione diretta nei testi dei “fascisti” e dei “nazisti” per poter sproloquiare del “male assoluto” farebbe bene e giustificherebbe la distribuzione della cicuta “antifa” . Non vi esorto a farla sul sopracitato Faurisson perchè sarebbe chiedere troppo. Comprendo la ritrosia dei bigotti di fronte al “demonio”. …
        P.S- circa il fascismo antisocialista, evolianamente direi “troppo socialista…( ma questo è un altro discorso)
        P.S 2 Gentile MM, apprezzo comunque molti dei Suoi commenti qui presenti….

  25. madhunitai scrive:

    Fandonia o no, oramai quel che è fatto è fatto.

    E’ inutile fare la conta dei morti, è inutile giocare a rinfacciare le foibe contro i campi di concetramento contro i gulag contro Tuol Sleng contro lo holodomor.

    Tanto i fascisti rimarranno sgretolati in decine e decine di gruppi e gruppettini, in una grottesca gara dove il primo che legge Il Capo di Cuib è il più bravo e forma un ulteriore gruppettino scegliendo una maglietta di moda, cambiando il logo con l’eventuale runa (a patto che non sia stata già usata) e omologandosi gli uni agli altri con la scusa della divisa. Il tutto condito dal solito cupo culto della morte e della sconfitta. Combattono il capitalismo e la cocacola ma fumano le marlboro e non disdegnano panini con la salciccia.
    La loro religione è lo stadio, che diventa palestra di vita e fonte di man power.
    Per loro Kusturica è uno sporco compagno amico degli zingari, Guccini è un grande camerata, Ken è un grande camerata, Mishima andava con gli uomini ma non importa per lui passa perché odiava le donne.
    Non leggono più niente e tutto si riduce a stadio/foibe/ebrei, ultimamente hanno sdoganato anche i “negri” che ora sono grandi camerati e sono stati visti aggirarsi durante le affissioni notturne tanto da scatenare l’indignazione di alcuni compagni che non hanno potuto spiegarsi come mai questi esserini indifesi siano potuti cadere sotto il giogo dello schiavismo fasista dopo averne passate tante in Africa.
    Sono contro le droghe ma una serata tra camerati non è degna di questo nome se non si ingurgitano 20 pinte a testa, il giorno dopo non ricordano dove hanno perso la fibia della cinta.
    Per molti di loro Evola è un virus autoimmune che causa la febbre emorragica.
    Non hanno paura del comunismo, anzi ne sono sinceramente disinteressati, più che altro hanno paura di unirsi e vincere.

    I compagni sono più complessi in effetti… se ne stanno rinchiusi nei loro baluardi inaccessibili alla realtà esterna, fannoa gara chi è più antifascista, anzi spesso non ha importanza nessun altro programma politico, non conta niente conta solo l’antifascismo; i capi assumono il pittoresco appellativo di coordinatori e fanno di tutto per far approvare le proprie idee e per ritagliarsi un posto al sole, che magari li porti in parlamento, non sarebbe male, molto spesso questi personaggi hanno dei genitori ricchi, delle case di proprietà e forse erediteranno un’azienda, d’altronde essendo di buona famiglia è normale che sappiano come “coordinare”, no? Gruppetti se ne formano di meno che tra i fasci più che altro con l’avanzare degli anni la borghesia latente li spinge a cercare (rigorosamente tramite amici nel sindacato) un posto fisso da impiegato per farsi una famiglia.
    Professano l’ateismo, ma la verità è che sono soltanto anticlericali per principio, quindi professano di nascosto lo zoroastrismo, perchè non possono vivere senza un male assoluto contro cui combattere, da lì attingono la linfa vitale e un motivo di esistere. Studiano di nascosto i sermoni di Padre Amorth sostituendo “harry potter” con “fascista”.
    Vivono circondati da paure: la paura della rinascita del fascismo, la paura di chi mette in dubbio l’ancien régime del centro sociale, la paura del cambiamento e del progresso, la paura che il fascista possa rimorchiarsi quella brunetta carina che avevano adocchiato al primo maggio, perché lo fanno,eh lo fanno…
    Alcuni si sono rotti le palle e tagliano corto: chi non la pensa come loro è fascista, si fa prima.
    Recentemente alcuni si dichiarano animalisti ma non disdegnano la carbonara, l’amatriciana e il panino con la fettina panata, basta che non siano cucinati da fascisti. Amano festeggiare il Giorno della Memoria indossando una kefia al corteo che parte da portico d’ottavia e se qualcuno s’azzarda a dire qualcosa è sicuramente fascista.
    Amano Kusturica ma non sanno che è un nazionalista cetniko e non devono saperlo.

    Quindi alla luce di tutto questo ancora parliamo dei grandi stermini del passato?

  26. @HYENAREBORN

    “Non dobbiamo dimenticare che il mondo contadino è un mondo patriarcale, fortemente gerarchizzato e privo di attenzione nei confronti di donne e animali al di là del loro valore come “mezzi di produzione”: anche la moglie del padrone, la regiôra lombarda o l’arzdora emiliana, godeva di un prestigio pari alla sua abilità come amministratrice dei beni del marito, quindi sempre come oggetto di una relazione e mai come soggetto della stessa — ricordo che nel 1977 uscì un ottimo testo di Armanda Guiducci, che prendeva il titolo da un tremendo detto contadino: “la donna non è gente”, a significare l’esclusione aprioristica del genere femminile dal consesso umano. Chiaramente una cultura o un’ideologia che apprezzi il modello patriarcale non potrà non apprezzare, almeno in parte, la civiltà contadina.”

    Cito questo intero passaggio di quello che dice Alessandra nell’intervista perché sembra che tu non l’abbia letta, e abbia passato il tuo tempo a setacciare la rete a cercare le prove secondo le quali

    ” ovviamente quest* anticapitalist* per scherzo non parlano mai di emancipazione di classe o di lotta di classe ma solo di “equilibri geopolitici(ergo:militari) , questa è un’analisi fortemente reazionaria.”

    Ora, il fatto che Alessandra, che (senza offesa, so chi sei e sei una persona che apprezzo davvero molto:-), ha letto i Francofortesi che tu manco eri nato (manco io), non nomini esplicitamente qui la lotta di classe, ti parrà una mancanza intollerabile. Eppure sta facendo un’analisi di classe non proprio hitleriana (litote) e insieme di genere.
    Ovviamente mi aspetto che mi risponderai che, ammesso che ci sia abbastanza analisi di classe, è una goccia nel mare. Ma questo significa non seguire il ragionamento di Alessandra, che parte dalla critica della destra e dei suoi mitologemi per aprire esattamente a una critica di classe e di genere che non ceda a nessuna regressione: nemmeno a quella tanto in voga fra tanta sinistra altermondista, ecologista (o pseudo-ecologista), per non parlare del primitivismo, che un’analisi di classe rigorosa se l’è dimenticata da mo’, che ha ridotto la critica di genere a una vacuità impalpabile o a un affare di streghe che per liberarsi riesce solo a immaginare di rifiutare la medicina ufficiale e “maschilista” (!).
    Una critica, quella di Alessandra, che non cedendo ad alcuna regressione, non chiude ma apre al futuro di una critica al dominio che non sia solo di classe, e nemmeno solo di classe e di genere.
    Perché per troppo tempo la sinistra ha dimenticato che le faglie del dominio sono molteplici, e attraversano le esistenze lungo i mille tagli disciplinari-sacrificali dell’esclusione del folle, del deviante (questione che, dato il tuo impegno, conosci bene), del selvaggio, dello “slavus” (in quanto schiavo ma anche in quanto non cristiano), incarnati tanto bene oggi nel migrante, nello straniero, ecc…
    Tutte faglie che precedono e abbondantemente succedono, in regime di scarto e di rottura, col fascismo. E che non sono affatto estranei alla sinistra: non parlo solo di quella, raffazzonata, odierna sinistra istituzionale (non più sinistra, ormai, ovviamente: già a metà degli anni ’90 si parlava delle “due destre”, dove quella non populista e criptofascista era proprio la cosiddetta sinistra istituzionale. Ma qui bisognerebbe parlare ormai di almeno tre destre, includendovi parte di quella non istituzionale, che si vorrebbe “dal basso”, partecipativa e autorganizzata, che della peggiore destra, specularmente, ha introiettato i peggiori metodi, di pensiero e di pratiche). Ma anche, dicevo, di quella “originaria”, che in tutte le sue forme (socialista, radical-democratica, comunista) non solo non ha mai acceduto a tale critica, ma è stata propugnatrice e fautrice di progetti (attuati) coloniali, nazionalisti, militaristi ecc… (se pensi di escludere l’anarchismo da questo vizio d’origine, pensa a Kropotkin davanti alla Prima Guerra Mondiale, e alla quasi assenza di una riflessione sulla violenza – che almeno nel marxismo eretico è ben presente – nella sua tradizione).

    Non so se l’analisi, la critica (che qui ha l’angusto spazio di un’intervista) di Alessandra sia sufficiente, ma certo, duole doverlo dire, è molto più avanti di quella di tanta sinistra odierna, istituzionale e non.

    D’altra parte per comprendere la modernità, alla faccia di chi storcerà la faccia, mi sembra molto più utile la lettura (ovviamente non allineata, ma critica: ormai questo termine è in eccesso, me ne rendo conto, ma neppure io non sono esente da vizi: diciamo almeno “decostruttiva”) di Junger e Schmitt piuttosto che di Bakunin e di Gramsci: il pensiero “impolitico” (non a- o anti-politico) di Esposito in questo ha dato insegnamenti magistrali, non a caso approdando ad una critica di sinistra del tutto eretica di questi pensatori che passa per pensatori altrettanto eretici (ancora oggi, pare) come Canetti, Simon Veil e Benjamin.

    Da questo punto di vista, questa insistenza sul “terzoposizionismo” è logora e superficiale (quando, non parlo di te, ignorante e/o strumentale). Tanto più che le analisi geopolitiche sono di certo insufficienti e da rimandare a critica (a mo’), ma restano comunque ormai indispensabili, proprio ad ogni “pensiero (a mo’) critico.

    L’equivalenza netta geopolitica=militarismo col suo assurdo corollario “chi si occupa di geopolitica è militarista” è, ad essere indulgenti, di una superficialità disarmante.

    Non sono d’accordo con Alessandra quando afferma (con quante precauzioni poi) che le categorie destra/sinistra siano da superare. Ma una loro ridefinizione è ormai quanto di più inaggirabile si offra a uno sguardo politico. Dato che ormai la realtà ci ha, da tempo, battuti sul tempo. Quelle categorie sono ormai già ampiamente dis-locate e la loro opposizione netta secondo una lettura tradizionale è quanto di più esiziale ci possa essere per la sinistra stessa, per un “liberazionismo” all’altezza dei tempi.

    Con affetto,
    Anto

  27. Simone Spezi – Roma scrive:

    Al di là delle giustissime polemiche, almeno per chi ha il tempo di sostenerle, ed al di là di ciò che rimane sui libri ma non costituisce né storia né realtà politica, mi chiedo a cosa facciate riferimento quando parlate di sinistra, di comunismo, di marxismo etc. Voglio dire, cosa accomuna questi movimenti reali (almeno fintanto che son sopravvissuti) con l’impostazione del non mangiar carne e derivati? Personalmente se venissi eletto spazzerei via anzitutto le chiacchiere; chiuderei i macelli per decreto (e chi rompe il cazzo giù legnate). Formerei le vecchie classi lavoratrici, che di sudore sanno produrne molto, al fine di metterle nelle condizioni di poter guardare un’orizzonte diverso. Tutto ciò, esempio abbastanza greve quanto colorito, NON ha nulla a che vedere con il liberismo economico. L’economia, come la maggior parte dei pensatori reazionari, passatemi il termine, hanno sempre sostenuto, deve sottostare alla politica, non viceversa. Caratteristica che invece contraddistingue il marxismo, storicamente, è proprio l’economicismo: l’economia è il nostro destino. E, rovescio della medaglia, ciò costituisce proprio la stessa logica del capitalismo. Il liberismo economico, l’autoregolazione nel marasma di una produzione votata al consumo, all’usa e getta, alla reificazione e bla bla bla, credo sappiate già tutto al riguardo.

    Per politica qui si intende proprio la gestione della cosa pubblica, non la gestione della cultura e della formazione altrui. Il panegirico culturale serve moltissimo, ma quando si fà riferimento ad una prassi, quando occorre essere pragmatici, il libro lo si mette da parte per guardare il dato storico, quindi il divenire, quindi l’azione. Tu scrittore quando agisci devi abdicare al tuo ego in forza della causa comune. Magari leggendo Yukio Mishima, fascista nipponico omosessuale, una cosa come “Sole e acciaio”, ci si rende conto di quale percorso abbia sostenuto, in mente e corpo, l’autore.

    Non credo né nell’uomo buono né in quello cattivo. C’è una comune appartenenza, umana, e c’è qualcuno che deve gestire il vivere comune; fondamentalmente la storia degli esseri umani, quindi delle loro interazioni, è questa. Abbiamo tirannidi vestite di democrazia, così come governi vestiti da tirannidi ma che in realtà hanno saputo lasciare una maggiore libertà ed iniziativa privata. Ad esempio, la vita al tempo dei comuni italiani è tutt’altro che una boiata: all’epoca si viveva meglio. PUNTO. Ora andiamo a confrontare la civilissima democrazia di attualità; tutti i pupazzi che fino a venti anni fa quando gli parlavi di “mondialismo” ti guardavano come un UFO. Oggi tutti hanno in bocca termini quali “massoneria”, “bilderberg”, “trilateral”, “sovranità monetaria” etc. Cosa che la sinistra ha sistematicamente, sempre, ignorato.

    Ai comunisti piaceva la porchetta; gli stessi comunisti dei CSOA e di potere operaio, di autonomia, gli stessi cui piaceva tanto la porchetta dei giovani maiali, piaceva tanto anche spaccare la faccia ai ragazzi omosessuali. O molto più semplicemente sfotterli, umiliarli, prenderli per il culo. Ora, posto certamente che un CSOA può godere al massimo della dignità di una riserva indiana (le famose TAZ, mi vien da ridere), qualcuno ci dovrebbe spiegare cosa cappero c’entrano queste sovrastrutture con l’animalismo, l’antispecismo etc.

    Ma tutto soggiace ai dettami ed alle necessità delle epoche. In questo siamo tutti abbastanza confusi: a quale epoca, a quale regno, impero, villaggio fate riferimento quando parlate di una sinistra compatibile con il pensiero antispecista? Su un libro posso promettere ciò che voglio, tanto è che se la Bibbia, con aggregati Vangeli, sostiene una liberazione post-mortem in vita eterna, molto banalmente il pensiero chiamiamolo DEBOLE sostiene una liberazione FUTURA, ma che comunque non si è ancora prodotta. Sono cmq sempre promesse. Quindi fuffa: cosa c’è di vero, cosa c’è di reale prodotti da UN sistema libertario cui fate riferimento. Voglio il nome del governatore, voglio sapere quale sia l’esperienza dello Stato che ha prodotto qualcosa di compatibile, realmente, con la cultura non violenta (si, una volta sii chiamava così). Forse in Tibet? In India? Va bene, ma attenzione perché anche queste società non godevano di una organizzazione “libertaria” né certamente “comunista”. Tutto era ordinato, nel sacro o nel profano: così come le radici non sono foglie, o un pollice non è un occhio.

    p.s. Alessandra Colla è una signora di una certa età, mai stata fascista. L’intervista avreste potuto proporla a qualcuno iscritto, tesserato, militante di un qualche vattelapesca movimento di camerati. Invece no, qualcuno tra voi ha voluto gestire l’argomento in grigio. Mi chiedo a cosa sia servito.

 



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