Dracula: una lettura non antropocentrica (intervista a David Del Principe)
Dracula: una lettura non antropocentrica
Intervista a David Del Principe
di Marco Reggio
Pubblichiamo qui un’anticipazione di alcune domande dell’intervista a David Del Principe che uscirà sul n. 19 di Liberazioni.
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«I romanzi di terrore debbono essere letti come romanzi politici» (Michel Foucault)
David Del Principe è professore associato presso la Montclair State University. Si occupa di letteratura italiana del diciannovesimo e del ventesimo secolo, letteratura gotica italiana ed europea, veganismo, critical animal studies, ecofemminismo e letteratura femminile italiana.
È stato Guest Editor del numero speciale della rivista inglese «Gothic Studies» (16/1, Manchester University Press, maggio 2014) intitolato «The EcoGothic in the Long Nineteenth Century», in cui è comparso il suo articolo «(M)eating Dracula: Food and Death in Stoker’s Novel», in corso di traduzione in italiano.
Ha contribuito al volume di recente pubblicazione Thinking Italian Animals: Human and Posthuman in Italian Literature and Film curato da Deborah Amberson e Elena Past (Palgrave Macmillan, settembre 2014), con un saggio sul consumo di carne in opere come Dracula di Bram Stoker, Frankenstein di Mary Shelley e in quelle di altri autori come Ugo Igino Tarchetti e Carlo Collodi.
Gli abbiamo rivolto alcune domande sull’approccio ecogotico alla narrativa del diciannovesimo secolo e alla sua lettura non antropocentrica del Dracula di Bram Stoker.
Il numero speciale di «Gothic Studies» che hai curato propone un punto di vista particolare sugli studi letterari, quello che hai chiamato approccio ecogotico. Come è nata l’idea di un numero speciale sul tema e di un contributo a un libro sugli animali nel cinema e nella letteratura italiana?
L’approccio ecogotico nasce dalla constatazione dell’assenza, negli studi gotici, della rappresentazione dei ruoli che svolgono le specie, i non umani e l’ambiente nella costruzione della mostruosità e della paura. Come goticista, mi ha sempre stupito che gli approcci critici alla mostruosità e al vampirismo non avessero quasi mai superato i confini interpretativi dello specismo. Un’assenza che non si limita, però, al gotico, ma si estende alla negazione della soggettività non umana nei testi letterari e nel discorso critico in generale. Dunque, l’ecogotico sorge all’incrocio tra approccio gotico ed ecocritico: ho concepito il numero speciale di “Gothic Studies” con lo scopo di iniziare a colmare questa lacuna. Tutti i saggi del volume che cercano di mettere alla prova la concezione antropocentrica ed ecofobica nei confronti dei non umani, della natura e dell’ambiente. L’esordio dell’ecogotico ha anche l’effetto di favorire il rilancio del gotico italiano stesso, cioè di deterritorializzare il romanzo nero che, nonostante una ricchissima tradizione nella letteratura moderna, resta in qualche modo tenuto ai margini, escluso da un discorso critico transnazionale. Il volume propone una mostruosità che si estende anche alla soggettività non umana e gli autori, in un’ottica non umanocentrica, hanno trattato una serie di aspetti originali: i bog irlandesi, il fungo, le capre mannare, i gorilla, gli ibridi non umani e postumani, i vampiri, gli animali da laboratorio e l’ambiente stesso. Ogni saggio nella raccolta si rivolge, in un modo e nell’altro, all’animale e alla natura intesi come presenze mostruose. In considerazione del crescente interesse per gli studi sugli animali, in particolare con l’affermazione dei Critical Animal Studies, dell’ecofemminismo e degli studi ambientali, mi è sembrato il momento giusto per proporre l’analisi dell’ecogotico. Finora, questo campo di studi vanta solo due pubblicazioni: il testo appena uscito e un libro, The Ecogothic, che si occupa della tematica della natura, curato da Andrew Smith e William Hughes (quest’ultimo è anche il direttore di Gothic Studies che voglio ringraziare pubblicamente per avermi invitato a curare il numero speciale). Fin dall’inizio il mio intento, con questo volume e con il saggio «Il pasto mostruoso: il consumo di carne e la resistenza alimentare nel gotico europeo» apparso in «Thinking Italian Animals: Human and Posthuman in Italian Literature and Film», è stato quello di proporre uno studio sullo specismo e sul consumo di carne, sia umana e inumana che non umana, come tematica gotica assente e, di conseguenza, degna di rilievo critico. Sono lieto di vedere che un tale campo di studi si stia estendendo con la nascita di approcci antispecisti affini, quali i Dark Animal Studies e la Dark Ecology, come propongono rispettivamente James Stanescu e Timothy Morton; mi auguro che questa strada sia solo una fra le tante che si affacceranno alla questione dell’animale.
Come affermi il punto centrale della tua proposta è quello di lanciare «una sfida ad un soggetto gotico ormai familiare – la natura –, assumendo una posizione nonantropocentrica, per riconsiderare il ruolo che svolgono l’ambiente, le specie e i non umani nella costruzione della mostruosità e della paura». Che implicazioni ha questa sfida? In particolare, in che senso può fare emergere (e, forse, far esplodere) l’identità umana, se, come sostieni, «l’approccio ecogotico esamina la costruzione del corpo gotico – inumano, nonumano, transumano, postumano o ibrido – attraverso delle lenti più inclusive, domandando in che modo esso può essere compreso in modo migliore in quanto sito di articolazione dell’identità ambientale e di specie»?
Le implicazioni sono notevoli perché siamo solo all’inizio della scoperta di questo lato dell’estetica gotica. Infatti, l’assenza dello studio non antropocentrico e antispecista dell’ambiente e delle specie è particolarmente interessante, perché i non umani abbondano nei testi gotici ma, come nel mondo quotidiano, sono resi muti e visti come oggetti da utilizzare—non come titolari della propria soggettività o della loro mostruosità. In genere, la critica è ancora specista: demonizza ma non mostrifica i non umani, conferendo solo agli umani il diritto di essere mostri dotati di agency. Così, si parla esclusivamente della mostruosità di Dracula in quanto umano-inumano, senza aprire la sua mostruosità e la via interpretativa alle sue identità animali non umane. Se lo si facesse, si correrebbe il rischio, assente nella vita di tutti i giorni, di consentire ai non umani il diritto di «perseguitare» fisicamente e psichicamente gli umani in quanto spiriti irrequieti, sospesi in uno stato fra la vita e la morte, aspetto questo che riflette il loro trattamento crudele nel mondo reale. Ecco perché quando si fanno sentire, gli animali lo fanno spesso in un contesto di crudeltà e di sofferenza, esprimendo una realtà che va occultata in un mondo specista. Riconoscere la costruzione di un corpo gotico più inclusivo, non solo di composizione in/umana ma anche nonumana e transumana, vuol dire arricchire la visione dell’identità umana, oltre qualsiasi limitazione categoriale, compresa quella delle specie, come si fa con le letture critiche in chiave femminista, queer e antirazzista.
E veniamo a Dracula… Mi sembra che uno dei punti nodali della tua analisi sia condensato in questa osservazione: «Il consumo di carne gioca un ruolo importante nello sviluppo delle allegorie alimentari e del vampirismo non-umano». In che senso questo ruolo è così centrale?
Si tratta di una presa di posizione che si basa su un mutamento prospettico lungo un’asse di maggiore inclusività. Tale mutamento muove dall’assunto che la carne presente nella narrativa non è solo quella umana consumata dal conte, ma anche quella non umana consumata dagli umani e che, quindi, il morso, la zanna e il vampiro posseggano due nature, o meglio, due specie. Tanto i vittoriani, come Jonathan Harker che consuma polli, mucche e maiali, quanto il conte, dissanguano e mangiano i corpi morti(-viventi): una reciprocità carnale che mette a confronto la tenue linea divisoria fra cannibalismo, carnivorismo, vampirismo e appartenenza di specie. Infatti, le due figure sono accomunate dallo stesso impulso necrofago a succhiare il sangue e a mangiare cadaveri, ma solo il conte viene considerato responsabile di atti di mostruosità e di delitti orrendi. Al contrario, Harker non è considerato un mostro, ma un umano, e un umano buono. Il loci del consumo di carne e della produzione della mostruosità, dunque, non sono situati solo tra la bocca e il collo, ma anche tra la bocca e lo stomaco, uno scambio che fa scaturire mostri e «fantasmi», anche sul piatto, e che mette in luce una forma di vampirismo non umano che fa crollare la finzione della visione antropocentrica. Da un punto di vista teorico, ritengo che il consumo di carne interrompa la distinzione fra umani e non umani e fra la vita e la morte, proponendo uno stato mostruoso di corporalità trans-specie che chiamo l’in-umano. Inquesto stato, il non umano consumato dentro di noi diventa un «morto vivente», ridotto a uno stato esistenziale sospeso fra la vita e la morte, dove lo stesso corpo umano diventa un luogo di sepoltura e di mostruosità. È questa teorizzazione che mi ha spinto all’epigrafe del volume, dedicato a «tutti coloro che abitano il cimitero umano.» Il gotico ci ricorda che la morte e i cimiteri hanno a che fare con chi muore e con il luogo in cui vengono (dis)seppelliti: non sono solo i vampiri che mangiano nei cimiteri.
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