Breve storia di due follie
dal blog Michelotti libero, contro la costruzione di un nuovo zoo a Torino
Breve storia di due follie
Torino, Piazza Carlo Alberto, 3 gennaio 1889: un uomo, di fronte allo strazio di un cavallo frustato furiosamente da un vetturino, di fronte al suo sguardo implorante e disorientato, lo abbraccia, piange, diventa folle.
Torino, Piazza Palazzo di Città, 20 gennaio 2015: un burocrate, insensibile allo strazio di una città frustata dalla crisi e dall’abbandono, insensibile al suo sentire disorientato e disperante, abbraccia, sorridendo soddisfatto, una proposta folle.
In mezzo, tra le altre cose – l’immigrazione interna e transnazionale, le lotte operaie, l’outsourcing della FIAT –, l’apertura, il 20 ottobre 1955, e la chiusura, il 31 marzo 1987, di uno zoo. Le sue tracce nelle immagini sfarfallanti dei primi video amatoriali: una giraffa che allunga il collo e un elefante che tende la proboscide per prendere qualcosa da mangiare, degli orsi in bilico su del ghiaccio posticcio immerso in una specie di pozzanghera, delle scimmie che corrono su e giù da finti alberi di corda e d’acciaio, dei felini annoiati e immobili che si alzano solo per girare intorno a se stessi, avanti indietro, come la pantera di Rilke. Ma sempre con grazia, con una delicatezza che sbalordisce, con la capacità di perdonare l’imperdonabile. E sbarre ovunque e ovunque cemento.
E poi al posto dello zoo un bioparco. Un bel nome per dire la stessa cosa, lo stesso degrado del vivente a oggetto di oscena pornografia, la stessa noia, la stessa rabbia, la stessa grazia, delicatezza e capacità di perdono degli uni, la stessa protervia e arroganza degli altri animali. Lo stesso panottico, solo più fintamente gentile, lento, felice. In realtà, la stessa memoria ferita, in futuro; certo, questa volta da immagini ad alta risoluzione, in 3D, con colori precisi, da diffondersi con orgoglio sui social network. Le sbarre, però, più lontane, più difficili da scorgere, anche con gli zoom più potenti, più infide quindi; meno criticabili, se non da fanatici ed estremisti della libertà, perché rese invisibili o quasi. E, ovviamente, niente cemento questa volta! Erba, magari di plastica, ma erba comunque, Signori e Signore, bambine e bambini! Venghino, venghino!
Il burocrate sono in tanti e non han nome: son nati sani, mettono sulle zolle le mani e sperano di educare folle di bambini al pianto della reclusione, insegnando loro a pregare gli idoli della forza, dello sfruttamento, del dominio.
L’uomo del cavallo, invece, ha firmato il suo dolore, con un gesto estremo e con tanti nomi, tra cui anche quello di Friedrich Nietzsche. È nato folle, ha aperto le zolle, ha scatenato tempesta. E piange sempre la sera. Forse è la sua preghiera.
Oltre la specie
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