Animali, agency e classe. La storia degli animali scritta dal basso. – di Jason C. Hribal
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Dal numero 18 di Liberazioni:
Introduzione
Sono i muli più indiavolati che abbia mai visto. Distruggono ogni cosa, mangiano gli alberi e i recinti e hanno quasi ucciso metà dei miei uomini. Volete portarli via? Se ci tenete a me, fatelo (1).
Negli anni Ottanta del XIX secolo, William Hornaday, prolifico collezionista di animali per i musei americani, stava partendo per una spedizione nel Sud-est asiatico. Mentre la sua imbarcazione era ormeggiata in Irlanda, nel porto di Belfast, acquistò parecchi asini da un abitante del luogo, poiché voleva usare i loro scheletri per allestire una mostra. L’uomo uccise gli asini per strada e Hornaday iniziò a scuoiarli e a sventrarne le carcasse.
Queste operazioni, però, vennero presto interrotte quando alcuni mezzadri cattolici comparvero sulla scena. Uno di loro, colpito dal massacro e dallo smembramento di queste creature compagne [fellow creatures], esclamò: «Una volta Gesù non è forse giunto in groppa a un asinello?» (2). Il gruppo si scagliò infuriato contro Hornaday e il venditore di asini, colpendoli con pugni e colpi di vanga. Il collezionista dovette cercare rifugio in una baracca lì vicino e riuscì a malapena a salvarsi grazie all’intervento di soldati armati chiamati per aiutarlo a sottrarsi agli abitanti della parrocchia (3). Come apprese questo naturalista americano, gli umani possono avere prospettive differenti, spesso anche divergenti, quando si tratta di animali.
Per i mezzadri, gli asini potevano costituire delle proprietà; potevano essere comprati e venduti; potevano essere utilizzati per lavorare. Esistevano regole e regolamenti riguardo a dove, quando e come questi animali potevano vivere e lavorare. Erano previste punizioni per chi li violava. Certo, esistevano anche forme di sadismo, di violenza perpetrata per puro piacere. Nonostante ciò, queste creature non erano né considerate né trattate come beni in senso stretto, come macchine, o come manufatti da smembrare a piacimento. Esisteva una relazione intima fra il contadino e l’asino. Gli asini avevano un nome. Avevano un genere (dire “lui/lei” non era come dire “esso/essa”). Possedevano intelligenza e ragione, avevano personalità individuali e uniche, erano dotati di spiritualità. Per consuetudine erano loro riconosciuti precisi diritti. Partecipavano alle feste: durante i festeggiamenti del 1° Maggio e della Festa del Raccolto, gli asini, insieme a mucche, cavalli e buoi, venivano adornati con fiori e ghirlande. La vita individuale di un animale possedeva un valore indipendente dalla sue capacità produttive e riproduttive. Gesù era davvero salito in groppa a un asino una volta nella sua vita. L’asino era un membro, integrato e attivo al tempo stesso, dell’habitus irlandese. Questa è una prospettiva dal basso.
Per Hornaday, gli asini erano delle proprietà. Dovevano essere considerati e trattati come beni da vendere, come tecnologia per produrre energia, come oggetti da mettere in mostra, come soggetti da conservare. In termini antropologici, la relazione fra Hornaday e l’asino non era una relazione di tipo emico (come per i contadini), ma piuttosto di tipo etico (4). Hornaday si poneva al di fuori del mondo degli asini. Esisteva per lui una barriera distintiva e significativa fra gli umani e le altre creature. Gli animali non possedevano un’agency indipendente. Non meritavano di vedersi riconosciuti diritti collettivi. La loro vita aveva ben poco valore al di fuori di ciò che era utile all’umanità. Questa è una prospettiva dall’alto.
[Continua a pagina 35 della rivista…]
1 Corrispondenza fra un Assistente Commissario e il Commissario dell’Esercito Britannico.
2 Il riferimento è all’episodio dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme la domenica delle Palme
[N.d.T.].
3 Cfr. William Hornaday, Two Years in the Jungle: The Experiences of a Hunter and Naturalist in India, Ceylon, the Malay Peninsula, and Borneo, Charles Scribner’s Sons, New York 1887, p. 3; e James A. Dolph, Bringing Wildlife to Millions: William Temple Hornaday, the Early Years: 1854-1896, Tesi di dottorato, University of Massachusetts, 1975, pp. 141-143.
4 I termini emico [emic] ed etico [etic] sono stati coniati da Kenneth Pike, che esplicita la distinzione fra i due come segue: «Il punto di vista etico studia il comportamento dall’esterno di un particolare sistema e va considerato un approccio iniziale essenziale alla comprensione di un sistema estraneo. Il punto di vista emico, invece, si realizza quando si studia il comportamento dall’interno del sistema» – citato in Alessandro Duranti, Antropologia del linguaggio, Meltemi, Roma 2000, p. 157 [N.d.T.].