Scrivere una storia dei gay e delle lesbiche afroamericani – di Barbara Smith

 

Riproponiamo un articolo originariamente pubblicato sull’antologia di Liberazioni 2005-2006, dedicata al tema dell’Altro.

Barbara Smith è saggista, autrice, critica e militante femminista e lesbica ed è tra le fondatrici diKitchen Table: Women of Color Press, una casa editrice indipendente dedicata alla scrittura delle donne di colore, e del collettivo Combahee River. Tra i libri di cui è stata curatrice e co-curatrice, ricordiamo Conditions: Five, The Black Women’s Issue(1979); All the Women, Women’s studies (1982); Home Girls: A Black Feminist Anthology (1983);Yours in Struggle: Three Feminist Perspectives on Anti-Semitism and Racism (1984). Smith è stata una delle prime autrici negli Stati Uniti a definire il femminismo nero per le donne nere agli inizi degli anni ’70. Il suo lavoro è stato decisivo nel definire la tradizione letteraria delle donne nere, esaminando le politiche sessuali nelle vite delle donne di colore, nel rappresentare la vita delle lesbiche nere e degli uomini gay neri e instituendo connessioni tra “razza”, classe, sessualità e genere.

Questo testo di Smith è tratto dal libro autoprodotto Sistren. Testi di femministe e lesbiche provenienti da migrazione forzata e schiavitù, a cura di Veruska Bellistri, che può essere acquistato scrivendo all’indirizzo sistren.ed@libero.it.

Traduzione: Rachele Cinarelli.

Nel 1979 Judith Schwarz del Lesbian Herstory Archives mandò un questionario sui temi riguardati la Storia delle lesbiche ad alcune donne che stavano lavorando in questo campo nato da poco. Tra le ventiquattro donne che risposero c’erano Blanche Wiesen Cook, Lisa Duggan, Estelle Freedman, Joan Nestle, Adrienne Rich, Carroll Smith-Rosenberg ed io. Le nostre risposte furono pubblicate sulla rivista di studi sulle donneFrontiers, in un’uscita interamente dedicata alla Storia delle lesbiche.

Rispondendo alla domanda “In che modo il nostro lavoro può comprendere la totalità dell’esperienza lesbica nella storia, tenendo particolarmente presenti le barriere che la razza, la classe, l’età e l’omofobia ergono in molte società?”, io scrissi quanto segue.

Vorrei dire qualcosa riguardo ai modi in cui l’oppressione data da questioni razziali ed economiche può interferire in ogni tentativo di ricerca sulla storia delle lesbiche nere… penso che esista una miniera d’oro di avvenimenti da scoprire, ma il problema è che sono così poche donne nere a farlo. Le donne che hanno le capacità e le credenziali per fare questo tipo di ricerca non hanno un’ideologia femminista, figuriamoci lesbica. Invece molte donne con un’ideologia femminista non possiedono le credenziali accademiche, le capacità o le fonti di materiale che permetterebbero loro di fare il tipo di ricerche necessarie. Ora come ora riesco a pensare solo ad un’altra donna nera oltre a me che ha tutte le fonti a sua disposizione e che sta rendendo noto il materiale trovato nelle sue ricerche, ed è Gloria T. Hull. È deprimente, ed aspetto solo il giorno in cui questo cambierà.

Quindici anni dopo, mentre mi sto documentando per un libro sulla storia dei gay e delle lesbiche afroamericani, la mia risposta ha reso inevitabile il mio coinvolgimento in questo progetto. Lo scrivere, l’insegnamento e l’attivismo e le mie pubblicazioni hanno sempre racchiuso l’impegno di combattere l’invisibilità, di fare posto a chi non viene né visto né sentito. Nonostante la costruzione di un movimento politico a partire dagli anni ’70, simultaneo ad una fioritura artistica, le lesbiche e i gay neri non hanno ancora un posto definito nella Storia.

In questo momento tale storia esiste in frammenti, in documenti sporadici, nella narrativa, nella poesia e nei testi dei blues, in dicerie e allusioni. Idealmente vorrei creare un resoconto cronologico che evidenzi le tracce di connessioni di tipo sessuale e emozionale tra persone dello stesso genere e di discendenza africana negli Stati Uniti, andando indietro il più possibile nei secoli. Realisticamente, a causa dello scarsissimo lavoro fatto in questo campo, il progetto finale sarà senza dubbio concentrato più su alcuni temi, ma non sarà un resoconto comprensivo sugli ultimi quattrocento anni di esperienze omosessuali, omoemozionali e omosociali nella vita afroamericana. Per me l’obiettivo più vicino da raggiungere è arrivare ad una struttura accurata e utile, analitica e teoretica per comprendere il significato della vita gay e lesbica nera negli Stati Uniti.
Questo tipo di struttura non è mai stata sviluppata e applicata all’esperienza gay e lesbica nera da altri ricercatori, che erano per la maggior parte americani di discendenza europea, e che quindi non si sono mai concentrati su tematiche afroamericane. Il complesso ambito della storia gay e lesbica nera ancora deve essere definito da studiosi e studiose omosessuali, e non è mai stata scritta da persone esperte in studi afroamericani. Fino ad ora questa storia è stata per lo più scritta giustapponendola alla storia gay e lesbica dei bianchi ed è stata presentata in lavori dove quest’ultima occupava una posizione dominante all’interno del resoconto. Gli esempi avvincenti di esperienze gay e lesbiche nere che hanno scoperto alcuni storici sono abbastanza utili e suggestivi, ma il contesto interpretativo in cui esse si trovano, come parte di una meta-narrazione in gran parte bianca, lascia molte domande senza risposta. Le omissioni più grossolane derivano da un’attenzione insufficiente o inesistente verso l’impatto pervasivo del razzismo e della supremazia bianca sulle vite di tutti gli afroamericani, al di là dell’orientamento sessuale, e anche sulle attitudini e le azioni dei bianchi stessi.

La maggior parte di ciò che è stato scritto ha sempre messo in relazione gay e lesbiche neri con gay e lesbiche, ovviamente, bianchi. Ma anche quando si tenta seriamente di comprendere l’esperienza gay nera all’interno dell’esperienza nera generale, vengono a galla errori analitici. Il mio progetto è quello di trovare a detta esperienza una dimensione nel contesto della storia nera e di quella gay. Le principali domande, mai poste in precedenza, a cui voglio trovare una risposta sono:

1) In che modo gay e lesbiche neri percepivano le loro esistenze all’interno delle comunità nere nel corso di varie epoche storiche?

2) Come venivano visti da gli altri componenti delle comunità nere?

In breve, cosa ha significato l’esistenza dell’omosessualità afroamericana per le persone nere di vari orientamenti sessuali nel corso del tempo?

Prima di dedicarci ad alcuni esempi sul modo in cui le esperienze omosessuali nere sono state affrontate o evitate, vorrei spiegare la mia decisione di documentarmi sulla storia sia degli uomini che delle donne. Vedendo questo come un progetto di definizione, mi sembrava impossibile capire totalmente la storia di un genere senza capire la storia dell’altro. Il tipo di domande che voglio esplorare non possono essere ben poste se si guardano i due tipi di esperienze separatamente. Spero che in futuro altri ricercatori si concentrino con più chiarezza sulle storie specifiche di gay, lesbiche, bisessuali e persone transgenere nere anche grazie al mio sforzo di creare una panoramica più generale. Per esempio potremmo leggere studi separati riguardo alla partecipazione di lesbiche nere in club di donne nere e in gruppi universitari; l’impatto dei gay sui gospels e su altra musica sacra; donne nere diventate uomo; o il travestitismo nella cultura africana e afroamericana.

La mia esperienza come donna nera e lesbica negli ultimi vent’anni indica che noi gay e lesbiche neri ci sentiamo legati dalla nostra identità razziale e dal nostro status politico in modi in cui i gay e le lesbiche bianchi non lo sono. Queste connessioni sono sociologiche, culturali, storiche e emozionali e penso sia cruciale esplorare questo nuovo territorio insieme.

Complessivamente, le ricerche storiche pubblicate che si dedicano specificamente ai gay e le lesbiche afroamericani sono una quantità minima, in particolare a confronto con il crescente corpo di ricerca sui gay e le lesbiche in generale. Nel primo Osservatorio per gli studi sui gay e le lesbiche del Centro dedicato a questi studi dell’Università di New York, tra il 1994 e il 1995, frequentato da seicento studenti, solo cinque persone hanno indicato come materia di interesse la storia dei gay e delle lesbiche afroamericani e sette in più hanno indicato interesse per le ricerche di Storia afroamericana relativamente ad altri temi. Per me è sempre stato evidente che le condizioni difficili, spesso ostili, che affrontano gli accademici di colore a causa del razzismo all’interno delle istituzioni bianche, renderebbero il loro interesse in questo genere di studi un’attività con un più alto livello di rischio rispetto ai colleghi di origine europea. Tuttavia ci sono alcuni giovani accademici coraggiosi, alcuni addirittura in dottorati di ricerca, che lavorano in quest’area.

Lodo gli sforzi di alcuni storici bianchi che hanno cercato di includere materiale sulle persone di colore nei loro lavori. La serie innovativa di documentari Gay American History di Jonathan Ned Katz, usciti per la prima volta nel 1976, e ilGay/Lesbian Almanac , uscito nel 1983 sono modelli per l’attuale politica di inclusione razziale, etnica, di genere e di classe. Anche Boots of Leather, Slippers of Gold di Elizabeth Kennedy e Madeline Davis basato su racconti orali dimostra un impegno consapevole nell’inclusione della varietà di razza e di classe. La mostra Becoming Visible: The Legacy of Stonewall del 1994 alla Biblioteca Pubblica di New York curata da Mimi Bowling, Molly McGarry e Fred Wasserman mostrava un livello di varietà razziale e di genere rara in avvenimenti culturali organizzati da gay e lesbiche bianchi.

Altri studiosi non hanno trattato a fondo prove importanti dell’esistenza di gay e lesbiche neri prima di Stonewall[a], in particolare durante gli anni ’20 ad Harlem. Tuttavia l’analisi di questi fatti a volte tralascia implicazioni importanti, avanza interpretazioni inesatte o non da’ l’importanza necessaria all’esperienza omosessuale nel contesto della vita afroamericana. Gli errori più devianti sono sia ignorare sia dare scarso peso alle realtà del razzismo, della segregazione e della supremazia bianca come costituenti delle esistenze dei gay e delle lesbiche afroamericani.

Gli anni del jazz ad Harlem, per esempio, sono oggi riconosciuti come il luogo di una vibrante vita sociale e culturale dei gay di colore, tanto da poter competere con quella del Greenwich Village. Comunque ancora non esiste un dibattito sui modi in cui la segregazione razziale abbia plasmato la crescita della cosiddetta comunità gay e lesbica di neri. Dal momento che una grande porzione della popolazione nera di New York durante gli anni ’20 viveva ad Harlem, a causa della discriminazione sulle abitazioni presente in tutta la città, la comunità gay che sorse là fu ovviamente formata da forze ben differenti da quelle delle enclavi bianche più consapevoli della loro condizione in altre zone di Manhattan. Questa apartheid geografica genera domande sul fatto che la tolleranza apparentemente maggiore verso gli omosessuali da parte della comunità nera di Harlem fosse la prova di un’attitudine più aperta verso la sessualità e la differenza o fosse semplicemente una sistemazione strutturale alla realtà della segregazione che forzò tutti i tipi di gente nera a vivere insieme in una sola zona. Probabilmente fu una sottile combinazione tra le due cose.

Si hanno pochi dati anche riguardo all’esistenza di gay e lesbiche di colore in altre città durante questo periodo. La manifestazione della vita di gay e di lesbiche neri ad Harlem e il modo in cui fu vista dagli eterosessuali afroamericani fu quindi un caso eccezionale o è possibile trovare situazioni analoghe in altri centri urbani?

Un’altra serie di affermazioni che deve essere approfondita riguarda la composizione delle classi presente ad Harlem. La questione dell’identità di classe nella comunità nera è eccessivamente complessa, spesso poco chiara e non può essere giudicata usando gli stessi criteri applicabili ai bianchi. L’oppressione razziale ha infatti un impatto negativo profondo sulle opportunità economiche dei neri, sulla loro classe e sul loro stato sociale. A tutt’oggi i livelli di reddito medio degli afroamericani restano vicini al o sul fondo della scala americana e solo una ristretta percentuale di neri è davvero ricca o appartiene ad una classe sociale elevata. Perciò quando vengono attribuite varie attitudini rispetto all’omosessualità a membri della classe alta o della classe media di Harlem, è necessaria una spiegazione più specifica riguardo a chi comprendevano questi strati e quale fosse il loro numero in proporzione all’intera popolazione di Harlem.

Un percorso di indagine che per un po’ di tempo avrei voluto seguire era una storia revisionistica del Rinascimento di Harlem stesso. Mano a mano che cominciavo a scoprire che la maggior parte degli scrittori principali di questo momento erano gay, bisessuali o lesbiche, mi sono resa conto che il significato di questa epoca di vitale importanza nella cultura nera doveva essere seriamente rivalutato. Che significato ha il fatto che la più grande profusione in questo secolo nella nostra letteratura, arte e consapevolezza culturale, precedente al Black Arts Movement degli anni Sessanta e Settanta sia stata notevolmente formata da neri che non erano eterosessuali? E come vedrebbero questo periodo coloro che lo celebrano per i progressi intellettuali e artistici se si rendessero conto di quanto sia stato originato da queers? L’impatto cruciale di artisti e artiste lesbiche, bisessuali e gay sulla formazione del Rinascimento di Harlem comporta delle implicazioni e dei bisogni che devono essere esplorati sistematicamente.

Harlem è diventato il ripostiglio simbolico del dibattito sull’esistenza pre-Stonewall dei gay e delle lesbiche neri. Ma devono essere studiate altre regioni del paese e anche l’esperienza di Harlem deve essere rivisitata con una consapevolezza più forte delle miriade di fattori economici, politici e sociali che hanno plasmato la vita afroamericana durante quegli anni.

Un esempio di problema interpretativo si può riscontrare in Gay New York: Gender, Urban Culture, and the Making of the Gay Male World di George Chauncey. Quest’opera fornisce un grande contributo ai fini della comprensione della vita gay nella prima parte del secolo e la descrizione che fa l’autore degli anni Venti e Trenta ad Harlem fornisce informazioni e approfondimenti significativi. Tuttavia in un caso, tentando di mettere sullo stesso piano l’esperienza nera e quella bianca, la specificità dell’esperienza nera non è tenuta sufficientemente in considerazione. L’autore descrive in dettaglio la storia dell’Hamilton Lodge Balls, il più grande avvenimento drag accaduto in quegli anni a New York. Egli nota che quest’evento annuale era unico perché attirava una folla di partecipanti e di pubblico interrazziale, in anni in cui la segregazione razziale era praticamente universale. Chauncey scrive:

I Balli divennero un luogo per la proiezione e l’inversione di identità razziali e di genere. Significativamente, comunque, ledrag queens bianche non erano preparate a capovolgere la loro identità razziale. Molti racconti parlano di drag queensafroamericane che si vestivano come celebrità bianche, ma nessuno racconta di queens bianche che si vestivano come famose donne nere. Per dirlo con le parole di uno spettatore nero: “La moda era quella di sviluppare una ‘personalità’ di una donna favolosa”, ma le donne che nominò — Jean Harlow, Gloria Swanson, Mae West e Greta Garbo- erano bianche.

Chauncey deduce correttamente che il razzismo delle drag queens bianche impediva loro di adottare modelli di donne nere, ma la mia risposta iniziale a questo passaggio è che al tempo non c’era un gruppo di donne nere paragonabile da imitare. Nonostante la popolarità di alcune intrattenitrici di quel periodo, non esistevano donne nere considerate icone glamour internazionali. Non c’erano stelle del cinema né modelle che lavoravano in contesti bianchi. I bianchi americani, molto semplicemente, non consideravano belle le donne nere; al contrario, lo stereotipo razzista definiva il nostro aspetto fisico in maniera opposta. Il mondo bianco certamente non conferiva loro la fama né per gli attributi fisici né per risultati fuori dal comune. Josephine Barker dovette abbandonare gli Stati Uniti e andare a Parigi per raggiungere il successo in quel periodo. Chauncey non analizza neppure le implicazioni razziali degli uomini neri che desideravano non solo essere donna per una notte, ma anche bianchi. Quando discussi questo passaggio con la mia collega Mattie Richardson alKitchen Table: Women of Color Press , ella disse che se gli uomini bianchi avessero scelto di vestirsi da donne nere, avrebbero dovuto truccarsi il volto di nero per completare l’effetto. Tale mascherata razziale avrebbe senza dubbio disturbato i neri in un’atmosfera che Chauncey descrive come già caricata in termini razziali.

Un esempio invece di errore analitico che può compromettere tutta la tesi alla base di un lavoro si può riscontrare nell’articolo di Tracy Morgan “Pages of Whiteness: Race, Physique Magazines, and the Emergence of Gay Public Culture, 1955-1960”. Sebbene Morgan riconosca il clima razziale negativo presente negli Stati Uniti in quegli anni, suppone che l’esclusione degli uomini di colore dai giornali con fotografie di uomini fu una strategia volontaria che i gay bianchi misero in atto per apparire più accettabili e per contribuire alla neutralizzazione del loro essere omosessuali. Ella scrive:

All’interno della formazione razziale e della comunità gay potrebbe essere importante chiedersi in che modo gli schemi del razzismo da parte dei gay bianchi possano essere stati “utili”, se pensiamo alla tesi del “compenso per esser bianchi”, nell’aiutare gli omosessuali bianchi a raggiungere un più vasto privilegio culturale e sociale, per il fatto di essere, almeno, degli emarginati “non neri” della cultura americana (…). Chiamato in causa il privilegio della pelle bianca come un rifugio sicuro alla ricerca della rispettabilità, i giornali che ritraevano corpi maschili erano parte di un più esteso fenomeno all’interno formazione della comunità gay alla metà del ‘900, che spesso ricercava soluzioni individuali e private per problemi più generalizzati (…).

L’uomo gay era sinonimo di “bianco”. Così gli uomini gay neri divennero invisibili poiché la rappresentazione dell’omosessualità negli anni ’50 volle la loro repressione.

Anche se l’esclusione degli uomini neri potrebbe aver anche minimamente rafforzato la posizione sociale dei gay bianchi, non c’è dubbio che la motivazione principale di questa esclusione si basasse sulla fedeltà indiscutibile allo status quo razziale. Morgan non prende in considerazione il fatto che il razzismo, la supremazia bianca e la segregazione erano universalmente istituzionalizzate, accettate e messe in pratica dai bianchi di ogni classe, genere, orientamento sessuale e provenienza geografica. Il bianco medio non doveva decidere se escludere o meno i neri da ogni aspetto della sua vita sociale, economica e privata. La società statunitense era organizzata in modo che ciò avvenisse sempre. La “decisione” di impugnare la supremazia bianca e di coglierne i benefici venne presa molto prima che i gay bianchi delle zone urbane cominciassero a pubblicare giornali con fotografie di uomini negli anni ’50. Quando questi uomini raggiungevano la maturità, a meno che le loro famiglie non fossero veramente un’eccezione, la completa segregazione razziale sarebbe stata la norma, un modo di vivere caro e famigliare. Proprio come i loro padri non assumevano neri, le loro scuole e le loro chiese non li facevano entrare e i loro vicini si rifiutavano di affittare loro una casa, i loro giornali non pubblicavano foto di uomini neri.

Morgan confonde le cause del razzismo con i benefici che ne risultarono. Scrive: “La maggior parte delle pubblicazioni lesbiche e gay, anche attualmente, continua a ricorrere al privilegio dato dalla pelle bianca come uno dei principali vestigi di rispettabilità” (p. 124). Se l’esclusione razziale è in primo luogo una strategia usata da un gruppo distaccato, perché i giornali etero sono allo stesso modo “bianchi” nei loro contenuti? La sua tesi suppone in modo inesatto che gli omosessuali bianchi abbiano un sistema di valori sulla razza notevolmente differente dagli altri bianchi, e quindi se non tentassero di rafforzare la loro credibilità nei confronti dei bianchi eterosessuali, sarebbero più aperti dal punto di vista razziale.

La mia intenzione non è quella di dissuadere gli studiosi bianchi dal fare delle ricerche e dall’includere del materiale sulle persone di colore. Al contrario, gli attuali studi queer dovrebbero essere più aperti dal punto di vista etnico e sociale, ma allo stesso tempo dovrebbero mostrare la piena consapevolezza dei contesti razziali e di classe nei quali si muovono realmente i gay e le lesbiche di colore.

La Storia afroamericana sembra offrire molte strade attraverso l’esperienza nera omosessuale. Il campo della Storia nera, che ha le sue radici nel Negro History Movement dei primi anni del ventesimo secolo, offre un’estesa e complessa documentazione sulla vita afroamericana. Tuttavia il problema più opprimente è il fatto che in pratica, nei confini della Storia afroamericana, non esiste alcun riconoscimento che siano mai esistiti lesbiche o gay neri.

Le ragioni di questo silenzio sono numerose. L’omofobia e l’eterosessismo sono di certo le più ovvie. Ma esiste anche il fatto che la Storia nera spesso ha assecondato fini extra-storici con lo scopo di agire contro l’emergere di sessualità “devianti”. In particolare negli anni in cui si andava formando, ma anche ora, il suo scopo di fondo è stato quello di dimostrare che gli afroamericani sono esseri umani a tutti gli effetti che meritano di essere trattati come americani, come cittadini, come uomini. Uso “uomini” di proposito perché fino circa vent’anni fa veniva data pochissima attenzione alla storia delle donne nere. Coloro che poi condividono alcuni residui di pensiero afrocentrico possono essere anche più manifestamente ostili al progetto storico gay e lesbico. Infatti, il programma conservatore dell’indottrinamento nazionalista o afrocentrico incoraggia la condanna di ciò definiscono una perversione ispirata dai bianchi, una cospirazione per distruggere la famiglia e la razza nera. Il tema dell’elevazione e del riconoscimento sociale e la priorità data alla nozione del “credito verso la razza” hanno caricato eccessivamente e a volte compromesso un progetto di Storia nera. Chauncey riferisce che nei primi anni del secolo “molti afroamericani borghesi e religiosi raggruppavano bulldaggers e faggots[b]assieme a prostitute, intrattenitrici lascive e immigrati rurali senza istruzione come parte di un’indesiderata e fin troppo evidente vita dei bassifondi che portava cattiva reputazione al quartiere e alla razza”. “Vita da bassifondi” è esattamente l’immagine che avevo delle lesbiche crescendo negli anni ’50 e ’60, prima di Stonewall. Non posso dire con certezza se avessi quest’idea perché la sessualità in generale e il lesbismo in particolare erano di rado discussi apertamente, fatto sta che questo messaggio subliminale contribuì molto alla paura di dichiararmi.

È difficile immaginare gli storici tradizionali afroamericani che abbandonano la loro via di ricerca per esplorare la vita lesbica e gay, o che rivelano le prove di questa in cui si possono essere imbattuti mentre esaminavano altre questioni. La biografia di Langston Hughes scritta da Arnold Rampersad mostra esattamente l’opposta tendenza a quella di abbandonare una via per ignorare o cancellare questo tipo di dati. Sembra impossibile immaginare gli storici neri passare al setaccio i verbali dei tribunali e della polizia (come hanno fatto studiosi omosessuali bianchi) al fine di provare l’esistenza dell’omosessualità nera. Io stessa ho valutato le implicazioni nell’utilizzare questo tipo di fonti, specialmente nell’attuale clima politico dove la destra sta cercando di criminalizzare tutte le persone di colore come parte del loro programma razzista.

Un esempio di come si può oscurare un lavoro, altrimenti assai informativo, sulla storia delle lesbiche nere ci viene dato daBlack Women in America: An Historical Enciclopedia , di cui l’editrice principale è Darlene Clark Hine. Questa opera di riferimento davvero innovativa, in due volumi, per un totale di 1500 pagine, presenta un quadro esaustivo delle donne nere americane. Contiene interventi interpretativi che trattano di questioni e organizzazioni storiche, ed anche centinaia di entrate biografiche che descrivono individualmente la vita di donne nere. Il solo indice è di 150 pagine; tuttavia ci sono solo sei entrate elencate sotto il titolo “Lesbismo”. Di sicuro l’enciclopedia include molte più donne lesbiche o bisessuali, ma siccome un dibattito sulla sessualità di una donna nera non viene di solito considerato rilevante, a meno che il suo orientamento non sia eterosessuale, i collaboratori omisero o eliminarono questo materiale. Mi sono ritrovata quindi a dover leggere tra le righe e a cercare di esaminare le bellissime fotografie dell’opera sforzandomi di immaginare quali tra le tante donne descritte potessero essere quelle su cui avrei dovuto fare più ricerche per i miei studi. Queste omissioni hanno fatto sì che altri debbano rifare gran parte di una ricerca già svolta.

Un altro tipo di omissione in Black Women in America si ha in entrate che descrivono donne notoriamente lesbiche o bisessuali, specialmente musiciste o intrattenitrici come Alberta Hunter e Jackie “Moms” Mabley, e che non sono identificate come tali. Ad esempio il commento contenuto sull’ereditiera A’Lelia Walker, di cui i leggendari salotti erano frequentati da luminari omosessuali del Rinascimento di Harlem e da gay e lesbiche, mostrano come la reticenza sulla sessualità possa produrre un ritratto incompleto di una figura storica. L’autrice, Tiya Miles, scrive:

Comunque A’Lelia Walker non era accettata da tutti nella comunità di Harlem. Alcuni non mandavano giù il fatto che fosse figlia di una lavandaia. Altri non approvavano il ritmo veloce delle sue relazioni sociali e il suo vestire inusuale, che comprendeva turbanti e gioielli. Alcuni dei suoi contemporanei la chiamavano l’Ereditiera Eccentrica (De-kink Heiress). La moglie di James Weldon Johnson, Grace Nail Johnson, nota come la dittatrice sociale di Harlem, si rifiutava di partecipare alle feste della Walker.

La fotografia che accompagna quest’intervento mostra che A’Lelia non solo indossava un turbante, ma anche stivali neri di pelle alti e luccicanti, con pantaloni stile arabo infilati dentro. Sta appoggiata con atteggiamento disinvolto, con una gamba piegata ed il piede contro la panchina in cui è seduta. Non ha un vestito né tanto meno una posa da signora. L’intenzione della Walker era quella di mettere in discussione le aspettative di genere del tempo. La descrizione di feste “meno formali” date da A’Lelia, fornita da Mabel Hampton e riportata in Odd Girls and Twilight Lovers di Lillian Fadreman, ci offre altre ragioni della cattiva reputazione della Walker:

Erano feste molto divertenti, c’erano uomini e donne, etero e gay. Si facevano quasi delle orge. Alcune persone avevano i vestiti addosso, altre no. Ci si abbracciava e baciava sui cuscini e si faceva qualunque cosa si desiderasse. Si poteva anche solo guardare. Alcuni venivano per guardare, altri per partecipare. Bisognava essere di bell’aspetto e ben vestiti per entrare.

Probabilmente Grace Nail Johnson e altri membri della borghesia nera erano al corrente di questi avvenimenti e perciò ostracizzarono la Walker, anche per le ragioni che cita Miles.

I paradossi più amari tra le entrate dell’enciclopedia sono quelli che descrivono le persone a me contemporanee, donne che so di persona essere lesbiche, ma che non vogliono riconoscerlo pubblicamente. Questo gruppo è quello che più pone delle difficoltà per la mia ricerca. La miriade di figure contemporanee che si nascondono sono artisti, attivisti, atleti e intrattenitori, sia uomini che donne, e costituiscono quello che considero il capitolo impossibile da scrivere. Ma voglio scriverlo ugualmente. Non ho intenzione di far fare outing a nessuno, ma vorrei analizzare cosa significa a vari livelli il fatto che ci siano molti afroamericani importanti le cui storie sono conosciute nei circoli lesbici e gay, ma che non posso includere perché si rifiutano di rinunciare al privilegio eterosessuale e dichiararsi.

La paura di essere rifiutati e di perdere credibilità all’interno della comunità nera è senza dubbio uno degli freni più grandi a dichiararsi, e ciò si potrebbe riferire in particolare ai nostri leader politici e culturali. Dal momento che ho avuto esperienza in prima persona delle difficili conseguenze che porta l’essere onesti con sé stessi sulla propria sessualità, non dico che le loro paure sono infondate. Tuttavia, l’aumento nel numero di persone nere che possono oggi essere contate come alleate per i movimenti di libertà sessuale e di genere è il risultato diretto del mettere in discussione l’oppressione attivamente, e non dell’abitudine ad essa. La mia speranza è che questo progetto storico possa giocare un ruolo nell’allargare lo spazio in cui le persone di tutte le sessualità possano vivere e combattere.


Note
a. Si fa riferimento all’inizio simbolico del movimento gay, quando nel 1969 gli avventori dello Stonewall Bar di New York, frequentato in larga parte da omosessuali, si ribellarono alla polizia intervenuta per una retata.
b. Termini dispregiativi per lesbica (il termine bulldagger sottolinea la mascolinità e l’aggressività) e gay.
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* Titoli in cui Barbara Smith appare come co-autrice o co-editrice



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