[racconti] Predatori Naturali – di D. L. Genna

Rhynchophorus

Predatori Naturali

un racconto di Diego Leandro Genna

Alla fine l’amministrazione locale optò per quella che fu definita una “ragionevole soluzione”, non senza il rammarico dei potenti produttori di farmaci e pesticidi che già si sfregavano le mani e si leccavano i baffi, ma non c’è da stupirsi, si sa, quest’ultimi pensano soltanto a ingrassare le loro pance, non curandosi del benessere e della salute dei cittadini né tantomeno di quella dell’ambiente, che poi sono un po’ la stessa cosa.

-Importeremo dall’oriente dieci coppie di questa specie di corvi, e che Dio ce la mandi buona!- queste furono le parole del sindaco ai consiglieri riuniti nell’aula per decretare la risoluzione al grave problema. Era una mattina di fine inverno, fuori il cielo era terso e l’aria pungente. Dalle finestre a vetri della sala si poteva scorgere un tratto di costa, il lungomare, un tempo orgoglio florido di palme della città, in tutta la sua dolente devastazione. Quel maledetto coleottero aveva fatto una vera e propria strage.

Non c’era più tempo da perdere. Andava presa una decisione.

In linea con le politiche “green”, i concetti di sostenibilità e tutta quella serie di tendenze al bio-eco-solidale che andavano di pari passo con la bolla mediatico-speculativa sull’ambiente, l’amministrazione, con fierezza e un pizzico di autocompiacimento, scelse di agire per vie naturali.

La piaga aveva scatenato una vera e propria psicosi collettiva tra gli abitanti di quel territorio, spettatori impotenti di una moria di palme, una dietro l’altra, inesorabilmente cadute sotto l’invisibile logorio di un dannato coleottero, Rhynchoforus Ferrugineus, il famoso e temutissimo Punteruolo Rosso, arrivato accidentalmente a seminare morte. Un’ecatombe ancora in corso.

I giardini privati, quelli pubblici, le piazze e i viali, le ville e i parchi comunali si spogliavano sotto gli sguardi sgomenti dei cittadini. Centinaia di palme devastate, sventrate da un’invisibile peste rossa. Alienati, indignati e abbattuti, i cittadini chiedevano a gran voce una qualche iniziativa che potesse metter fine o quantomeno arginare il triste scempio.

E’ incredibile come siano sensibili alle proprie piante ornamentali i cittadini e i governanti, ancor più che rispetto a certe questioni di certo più importanti e problematiche.

L’argomento fu a lungo discusso. Impossibile trovare un colpevole. I giornali dedicavano grande attenzione al problema, con tanto di foto strazianti in copertina e inserti di approfondimento. Ma le palme continuavano a sprofondare su se stesse. Era frustrante non riuscire a far nulla e non avere nessuno con cui prendersela.

Dopo una seria valutazione e un’attenta analisi del problema da parte di un comitato d’esperti, come sempre pronti a dare un parere tecnico, fu presa la decisione di combattere l’infestante presenza del Punteruolo Rosso con il suo predatore naturale. E la scelta ricadde sul Dendrocitta Vagabunda, che chiameremo con il nome comune di corvo indiano.

Ora, verrebbe da chiedersi, come mai proprio quando le palme erano quasi tutte morte l’amministrazione facesse qualcosa per combattere il fenomeno? Il danno era già avvenuto. Il patrimonio botanico del paese deturpato, per sempre. Quesito lecito se il problema fosse stato osservato da occhi miopi. La questione, infatti, si andava declinando in tutte una serie di timori che allargavano la piaga a macchia d’olio. In ambito politico e biologico.

Da un lato, alcuni esperti di disastri naturali profetizzavano il possibile attacco, una volta sterminati tutti gli esemplari di palme predilette dal coleottero, ad altre specie di palme, che in quel territorio, grazie al clima mite, ne prosperavano di vario tipo. Si temeva l’estensione del supplizio agli alberi da frutta, agli ulivi…

Dall’altro lato, la crescente pressione dei paesi confinanti, con minacce di sanzioni e chiusura dei rapporti commerciali, faceva presagire uno scenario d’isolamento che non piaceva a nessuno.

I due tipi di animali in ballo, il punteruolo rosso e il suo predatore naturale, il corvo indiano, appartengono a specie aliene per il territorio in questione. Animali che si trovano ad abitare in una zona diversa rispetto al loro naturale areale storico. Ovviamente c’è l’azione dell’uomo che fa da ponte per tali spostamenti, sia accidentalmente come per il primo, che intenzionalmente come per il secondo. Per questo sarebbe corretto chiamarli “introdotti”.

In termini biologici si direbbero due “alloctoni”, ma preferiamo non usare questo termine perché ha una certa somiglianza con il nome di un’altra specie di volatile, l’allocco, spesso associato alla stupidità umana. Il punteruolo e il corvo di certo stupidi non potrebbero dirsi.

Entrambi furono capaci di adattarsi e proliferare nel territorio in cui erano stati introdotti.

I corvi però, pur non disdegnando un clima meno tropicale, trovarono inizialmente non poche difficoltà ad ambientarsi, banalmente perché gli mancava un appoggio, il trespolo naturale, il luogo da loro prediletto e che sarebbe stato il miglior avamposto per la caccia ai piccoli coleotteri, ovvero le palme stesse! Abbandonarono il campo di battaglia, lasciando così il nemico proliferare in un sonno silenzioso e larvale. Indisturbato.

Fu così che i corvi indiani scelsero i filari di vite, e vi si stabilirono fino alla primavera successiva quando scoprirono con grande piacere gli inebrianti sapori dell’uva, prematuramente sottratta dalle mani degli agricoltori. Vigneti storici come dimora, abbondanza di cibo di ottima qualità, che da quelle parti si coltivava un’uva con un alto grado zuccherino, nessun nemico o predatore naturale, niente sforzi, i corvi se la passavano alla grande!

E il micidiale parassita delle palme sarebbe tornato alla ribalta, contro nuove palme e chissà quali altri piante arboree.

Il corvo indiano divenne a sua volta un problema da risolvere. La faccenda si complicò.

Adesso anche i vigneti e la preziosa uva locale erano a rischio.

Una tale razzia della materia prima, forse la più importante del territorio, minacciava gravemente quella che era sempre stata una fiorente produzione di vini pregiati, mettendo in ginocchio l’agricoltura e tutto il ramo vitivinicolo.

Scoppiò il caso. I contadini e i produttori insorsero. La comunità scese in piazza a protestare con voce unanime contro l’imprudenza dell’amministrazione. Le cose si mettevano male. Questa volta il colpevole c’era, ed era finalmente additabile.

Il consiglio d’amministrazione del paese, barricato nel palazzo, con una folla alle porte capeggiata da agricoltori e proprietari di cantine e aziende vinicole, decise in tutta fretta di continuare sulla linea dei predatori naturali e senza farsi troppe domande, troppi scrupoli, e senza nemmeno la consulenza del suddetto comitato di esperti, decise di correre ai ripari e combattere, segretamente, la presenza ormai stabile dei corvi con l’introduzione di alcuni esemplari di Martes Foina, la Faina della Manciuria.

La fretta non porta mai a delle scelte sagge, tant’è che per arginare la rabbia degli agricoltori si finì per scatenare la non meno violenta rabbia degli allevatori.

Le faine, appena arrivate, furono sguinzagliate nelle campagne, tra i vigneti e i filari dell’uva. Di certo non disdegnavano la preda per cui erano state introdotte e si diedero alla caccia degli esotici corvi, oziosi nelle loro nuove dimore dionisiache. Questo è quanto avvenne nei primi giorni. Il parziale successo lasciò sperare per il meglio. Il predatore naturale del corvo stava adempiendo la sua funzione, sterminare i corvi. Per contro però, alla faina risultò molto più facile la razzia di pollame e conigli locali. I recinti facilmente violabili. Cosicché l’abbondanza e la concentrazione di comode prede distolse le faine dai corvi. In poche notti la tragedia fu consumata. Un massacro di polli, tacchini, conigli, galline, un bagno di piume e sangue…

Il paese scoppiò in una violenta rivolta.

Quando si prospettava ormai la disperata scelta per la Lince rossa del Canada al fine di contrastare la Faina e le sue razzie, intervenne l’autorità superiore.

Dai piani alti del potere arrivò l’intervento decisivo.

L’uso della forza s’impose come violenta soluzione alla serie di squilibri causati dall’amministrazione locale.

Una risoluta operazione per arginare l’incapacità del consiglio e l’inadeguatezza dei provvedimenti che avevano messo a soqquadro la situazione di quel territorio. Per disinnescare la spirale di scelte sbagliate, furono inviate due squadre di tiratori scelti dell’esercito a eradicare le specie aliene introdotte con tanta imprudenza.

Si potrebbe affermare che il predatore naturale dell’essere umano è l’uomo stesso.

Di fatto quel territorio, vittima di piaghe animali e stupidità umane, fu in qualche modo sanato. Disinfestazione per le prime ed epurazione per le seconde.



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This entry was posted on venerdì, Dicembre 11th, 2015 at 12:08 and is filed under General. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. Both comments and pings are currently closed.