Anima, animus, animale – di Carol Adams
di Carol J. Adams
traduzione di Marco Reggio
[articolo originale in “MS”, Maggio-giugno 1991 – traduzione francese apparsa sui Cahiers Antispecistes]
Le femministe, basandosi sull’esperienza delle donne, hanno posto l’accento su valori come la relazione[1], la responsabilità, l’amore attentivo, su un’etica incarnata[2] che include la conoscenza mediata dal corpo. Se dovessimo toccare, sentire e vedere gli animali che mangiamo, di cui ci vestiamo o che usiamo in altro modo, dovremmo sostituire l’attuale sfruttamento con una relazione rispettosa.
Le nozioni correnti di natura umana amplificano le differenze e minimizzano le somiglianze fra noi e gli altri animali. Parliamo degli animali come se non fossimo noi stessi animali. Ciò permette agli esseri umani, nei soli Stati Uniti, di imprigionare quasi sei miliardi di animali in allevamenti intensivi che violano i loro bisogni fisici e comportamentali di base; permette di tollerare l’uccisione di non meno di tre animali al secondo nei laboratori; permette di acquistare capi in pelliccia che richiedono la sofferenza e la morte di almeno 70 milioni di animali all’anno; permette di cacciare e uccidere 200 milioni di animali all’anno “per sport”; permette di esibire milioni di animali nei circhi, nei rodeo, negli zoo, dove devono sopportare la noia, i maltrattamenti, la mancanza di intimità e la privazione del loro ambiente naturale.
I paralleli fra le esperienze delle donne e quelle degli altri animali sono stati fatti a più riprese nella letteratura e nella teoria femministe. Gli animali sono carne, cavie di laboratorio e corpi reificati; le donne vengono trattate come carne, cavie di laboratorio e corpi reificati. Vediamo immagini pornografiche di “cacciatori di pelli” che “mettono nel sacco”[3] una donna, o immagini di donne fatte passare in affettatrici da carne. A volte gli uomini violenti con le proprie mogli hanno costretto le loro vittime ad assistere all’uccisione del loro animale preferito. I bambini che hanno subito abusi sessuali vengono talvolta spaventati minacciando la morte di un animale domestico per assicurarsi la loro condiscendenza. “Perché questo vitello da carne non riesce a camminare?” è il titolo di un poema dell’artista Karen Finley sullo stupro e l’incesto (già, perché non può camminare? Tenuti in piccoli box, i vitelli “da carne” non riescono a girarsi, poiché l’esercizio fisico ne favorirebbe lo sviluppo muscolare, indurendone la carne e rallentandone l’aumento di peso. Stare in piedi su un pavimento di assi induce una tensione costante. La diarrea, derivante da una dieta inappropriata che favorisce l’anemia per produrre carne chiara, fa diventare le assi scivolose: i vitelli spesso cadono, procurandosi ferite alle gambe. Quando vengono prelevati per essere macellati, molti di loro camminano a malapena).
Allevati in costruzioni recintate, oscure o debolmente illuminate, gli altri animali da allevamento non se la passano certo meglio; la loro vita è caratterizzata da pochi stimoli esterni, dalla restrizione dei movimenti, dalla mancanza assoluta di libertà di scelta nelle relazioni sociali, da esalazioni intense e sgradevoli e dall’ingestione di dosi sub-terapeutiche di antibiotici (il 50% degli antibiotici negli Stati Uniti è destinato al bestiame). Fino a cinque galline vengono allevate insieme in una gabbia di dimensioni appena un po’ più grande di questa rivista[4]. Quando vengono cotte in forno, le galline dispongono di uno spazio quattro volte più ampio di quando erano in vita.
Molte femministe hanno rilevato che oppressione delle donne e sfruttamento degli animali sono interconnesse. Rosemary Ruether ha stabilito un nesso fra addomesticamento degli animali, sviluppo dei centri urbani, creazione della schiavitù e disuguaglianza fra i sessi. Alcun* antropolog* hanno messo in correlazione il dominio maschile con le economie basate sulla caccia. Un’ecofemminista, Sally Abbott, ipotizza che la religione patriarcale sia nata dal senso di colpa legato al consumo di animali. Un’altra, Elizabeth Fisher, propone l’idea secondo la quale l’allevamento di animali abbia suggerito le tecniche di controllo delle capacità riproduttive femminili. Gena Corea mostra come il trasferimento embrionale sia stato applicato alle donne dopo essere stato sviluppato nell’industria del bestiame. Andrée Collard ed altre argomentano la tesi per cui la bestia uccisa nelle mitologie eroiche rappresenta la dea un tempo potente.
Le filosofe femministe hanno presentato il metodo scientifico come un metodo che sorge dall’esperienza dell’umano maschio (di solito bianco, eterosessuale e di ceto elevato) e la valorizza. Tali pensatrici sostengono che il modo in cui la scienza definisce o seleziona i problemi che saranno oggetto di ricerca, il modo in cui definisce perchè questi sono problemi, il modo in cui progetta gli esperimenti, il modo in cui costruisce teorie e conferisce significato ai fatti – tutti aspetti della scienza usati anche per difendere la sperimentazione animale – sono modalità sessiste, razziste, omofobiche e classiste. I diritti animali aggiungono lo specismo a questa analisi.
Eppure, per molte persone femminismo e diritti animali sono antitetici, in parte a causa degli approcci adottati dal movimento per i diritti animali. Chi non si sente offesa davanti a un manifesto di una donna che dichiara “Ci vogliono fino a 40 stupidi[5] animali per fare una pelliccia. Ma uno solo per indossarla.”? Perché gli animali d’allevamento – che rappresentano almeno il 90% degli animali sfruttati – non sono stati finora al centro dell’interesse dell’attivismo animalista, al posto degli oggetti di consumo identificati come femminili, come i cosmetici e le pellicce? Nessuna legge prescrive che i cosmetici vengano testati su animali e quindi, come le pellicce, i cosmetici vengono identificati con la vanità, e vengono visti come più facilmente eliminabili rispetto al cibo di origine animale. Inoltre, le donne vengono viste come più sensibili nei confronti degli animali. Il movimento per i diritti animali sembra intuire che le donne si identificano con gli animali sfruttati per via del loro stesso essere sfruttate.
Alcune femministe temono che i diritti animali possano stabilire un precedente a favore dei diritti dei feti. Gli anti-abortisti – ironia della sorte – sono d’accordo, quando accusano gli attivisti di preoccuparsi degli animali ma non dei feti. Ma è disonesto paragonare un feto ad un animale che vive e respira: un feto possiede interessi potenziali; un animale possiede interessi attuali. Lo specismo, forse, non è mai così accentuato come nella protesta sulla sorte dell’embrione umano, in cui la capacità di sentire degli altri animali viene dichiarata moralmente irrilevante perché non sono umani. Alcuni anti-abortisti danno una definizione di “vita dotata di significato” tanto ampia da includere un ovulo appena fecondato, e al tempo stesso tanto ristretta da escludere gli animali pienamente sviluppati, con un sistema nervoso ben formato e delle competenze sociali. Se estendiamo la comprensione femminista della libertà di riproduzione, vediamo che le donne e altre animali femmine subiscono entrambe gravidanze forzate.
I diritti animali vengono accusati di essere antiumani (questo ricorda le accuse di essere “antimaschili” rivolte alle femministe). E’ conveniente separare la questione dei diritti animali da quella dei diritti umani, per lamentarsi del fatto che ci interessiamo degli animali mentre gli umani muoiono di fame. Ma questa separazione è perpetuata dall’ignoranza: l’allevamento animale contribuisce in larga misura alla devastazione dell’ambiente ed alla disuguaglianza nella distribuzione del cibo. Frances More Lappé spiega come metà dell’acqua consumata negli Stati Uniti, di cui buona parte proviene da risorse non rinnovabili, venga usata per le colture riservate al nutrimento del bestiame. Più del 50% dell’inquinamento idrico è dovuto ai rifiuti dell’industria zootecnica (tra cui letame, suolo eroso, pesticidi e fertilizzanti sintetici). La produzione di “carne” crea anche una forte domanda di fonti energetiche: le 500 calorie di energia nutrizionale derivanti da una libbra di “bistecche” richiede 20.000 calorie di combustibile fossile. Alcuni ambientalisti sostengono che il fabbisogno di petrolio importato negli Stati Uniti calerebbe del 40% se passassimo ad una dieta vegetariana (a causa dell’energia usata per coltivare cibo per gli animali, per mantenerli in vita, ucciderli e lavorarne i corpi). Il bestiame è responsabile per l’85% dell’erosione dello strato superficiale del terreno, e il gas metano, in gran parte prodotto dalle vacche allevate per nutrirci, incide per almeno il 20% sul contributo umano all’effetto serra.
Effettivamente, lo sfruttamento animale è antiumano. Nel momento in cui si considera la sofferenza animale come essenziale al progresso umano e si teorizza una morale in cui tale sofferenza viene ritenuta irrilevante, prevale una definizione deformata di umanità. Oltre al degrado ambientale, molte malattie umane sono legate all’alimentazione carnea (in una dieta vegetariana stretta il rischio di morte per infarto è ridotto dal 50% al 4%, e il rischio di cancro al seno e all’ovaia è tre volte inferiore). Oggi, la ricerca su animali spreca miliardi di dollari dei contribuenti per produrre risultati ingannevoli perché non usa modelli che potrebbero fornire informazioni più rapide, più attendibili e meno costose rispetto a quelle ottenute con i “modelli” animali.
Le accuse secondo cui i diritti animali sono antiumani in realtà significano: “il movimento per i diritti animali è contro ciò che io faccio e perciò è contro di me”. Se gli argomenti dei diritti animali sono convincenti, il cambiamento individuale diventa necessario. Come per il femminismo, se accetti gli argomenti, le conseguenze sono immediate: non puoi continuare a vivere nel modo in cui vivi, perché improvvisamente capisci la tua complicità in un’immensa quantità di sfruttamento. Questo può risultare molto sconfortante se ti piace mangiare o indossare animali morti, o se accetti le premesse da cui deriva la sperimentazione sugli animali.
Lo so bene: questa descrizione si applica a me stessa. Durante la prima metà della mia vita ho mangiato animali e ho beneficiato in altri modi del loro sfruttamento. Ma il femminismo mi ha predisposto a chiedermi se fosse giusto o necessario. Mi ha fornito gli strumenti per mettere in discussione il linguaggio che rimuove l’agente e nasconde la violenza: “Qualcuno uccide gli animali perché io possa mangiarne i cadaveri sotto forma di carne” diventa “gli animali sono uccisi per essere mangiati sotto forma di carne”, poi “gli animali sono carne”, e infine “animali da carne” e quindi “carne”. Qualcosa che noi facciamo agli animali è diventato piuttosto qualcosa che è parte della natura degli animali, e noi abbiamo completamente smesso di considerare il nostro ruolo. Alice Walker ha ripreso a comprendere questo ruolo grazie ad un cavallo, ricordandosi che “gli animali umani e quelli non umani possono comunicare benissimo”, e accorgendosi, mentre mangiava una “bistecca”, che stava “mangiando sofferenza”.
Se il modello di umanità fosse, per esempio, una femminista vegetariana, invece che un maschio carnivoro, la nostra idea di natura umana verrebbe messa in dubbio nei suoi fondamenti: gli animali verrebbero visti come parenti, non come prede, “modelli” o “macchine animali”; noi verremmo visti radicalmente in relazione con questi parenti, non come predatori, sperimentatori o proprietari. Ricostruire la natura umana come femministe implica esaminare in che modo noi, in quanto umane/i, interagiamo con il mondo non umano. I diritti animali non sono antiumani: sono antipatriarcali.
[1] Connectedness (N.d.T.).
[2] Embodied (N.d.T.).
[3] To bag = “mettere nel sacco”, “mettere le mani addosso a” o “catturare” (N.d.T.).
[4] L’autrice fa riferimento alla rivista in cui è stato pubblicato l’articolo: la dimensione corrisponde a due fogli A4 (N.d.T.).
[5] Dumb = “stupido”, “ottuso”, ma anche “muto” (N.d.T.).
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