La produzione discorsiva dei corpi: soggetti di dominio – di E. Zanola

Testo presentato alla seconda edizione di Liberazione Gener-ale, svoltasi a Verona il 24 maggio 2014.

Gli altri contributi presentati e discussi durante la giornata possono essere scaricati dal blog del Collettivo Anguane.

 

La produzione discorsiva dei corpi: soggetti di dominio

 

di Elisa Zanola*

 

Soffermiamoci un attimo sulla parola dominio. “Dominio” sembra incarnare anch’esso, come altri termini a cui più comunemente viene associata la performatività, una capacità performativa, nel senso che rappresenta non solo un termine linguistico, ma una vera e propria azione esercitata da chi utilizza il linguaggio e produce esiti non solo linguistici, ma ancora più tangibili delle stesse parole. Evocando la relazione tra dominanti e dominati, anche il termine dominio esercita una forma di potere latente che precede la lingua ma si serve di essa per riprodurre i suoi effetti.

Nel suo libro, Parole che provocano. Per una politica del performativo (1997), riferendosi però non specificatamente al termine dominio, ma alla capacità di alcune parole di rappresentare attivamente la realtà che nominano, Judith Butler scriveva

 

“Il performativo deve essere ripensato (…) come rituale sociale, come una delle vere e proprie modalità di pratiche potenti cui è difficile resistere proprio perché sono silenziose e insidiose, insistenti e insinuanti”.

 

Il performativo rappresenta anche una delle principali modalità di attuazione del potere discorsivo; e dunque anche del sistema di dominio.

Ma cosa s’intende per potere discorsivo? Per rispondere, utilizzeremo la definizione di discorso che Michel Foucaul dà nel suo libro, La volontà di sapere

 

“Il discorso non è semplicemente ciò che traduce le lotte o i sistemi di dominazione, ma ciò per cui, attraverso cui, si lotta, il potere di cui si cerca di impadronirsi”.

 

Il discorso diventa anche il luogo nel quale le relazioni di potere e sapere si sviluppano, attraverso delle strategie assai complesse

 

È proprio nel discorso che potere e sapere vengono ad articolarsi.(…) Non bisogna immaginare un mondo del discorso diviso fra il discorso approvato ed il discorso rifiutato o fra il discorso dominante e quello dominato; ma qualcosa come una molteplicità di elementi discorsivi, che possano entrare in gioco in strategie diverse”.

 

Tra discorso e potere, il rapporto è molto stretto, perché

 

“Il discorso trasmette e produce potere; lo rafforza, ma lo mina anche, l’espone, lo rende fragile e permette di opporgli ostacoli”.

 

Tuttavia, le tattiche del potere discorsivo sono quanto mai insidiose e nell’analisi di Foucault, anche chi si oppone al potere, visto non come qualcosa che viene calato dall’alto, ma come l’esito di azioni poliformi e mutevoli, rischia in qualche modo di favorirlo.

Se ne è avuto un esempio anche all’inaugurazione della conferenza omofoba che si è tenuta il 21 settembre 2013 in Gran Guardia a Verona, La teoria del Gender: per l’uomo o contro l’uomo”, all’apertura della quale, il sindaco Tosi ha esordito dicendo: “Ringrazio le associazioni gay che stanno protestando là fuori: in questo modo ci stanno facendo un’ottima pubblicità”. A proposito di questo convegno, al quale è seguito anche un contro convegno, Contro natura? Lesbiche, gay, trans si interrogano sul loro posto nel creato, ci sono alcuni aspetti su cui vorrei soffermarmi, notando che un preciso discorso (che è poi quello che performativamente orienta le politiche omofobe di un determinato tipo di dominio) è emerso dalle parole dei relatori.

Questo discorso che hanno divulgato si basava su alcuni precisi presupposti, come:

  • una spiegazione dell’appartenenza di genere di tipo essenzialista/biologista. Quindi “nasciamo indiscutibilmente maschi e femmine”, piuttosto che un pensiero, come le ricerche più recenti in ambito sociologico confermano, basato sull’idea che il genere sia l’esito di una costruzione sociale;
  • un atteggiamento di indiscutibilità nei confronti dell’appartenenza di genere, quindi “siamo evidentemente maschi e femmine per natura” piuttosto che un atteggiamento più dubitativo, costruzionista e “pluralista” nei confronti della sessualità;
  • un più spiccato attaccamento religioso, al posto di un maggior laicismo;
  • l᾽accettazione di un maggior autoritarismo maschile, al posto di un atteggiamento più paritario tra uomo e donna;
  • la visione del ruolo femminile come “materno-riproduttivo” piuttosto che emancipato-lavorativo;
  • la concezione della famiglia come luogo di riproduzione sociale più che come uno spazio affettivo non strettamente collegato a vincoli biologici;
  • l᾽affermazione dell᾽evidenza genitale a discapito del polimorfismo del desiderio;
  • la diversità percepita come minaccia piuttosto che come un arricchimento;
  • l᾽appello ai legami della tradizione, al posto del riconoscimento dell’individualismo postmoderno;
  • una collocazione politica più conservatrice piuttosto che progressista;
  • il considerare l’omosessualità come qualcosa di reversibile, da curare, prendendo in esame anche le conseguenti “terapie riparative” piuttosto che riconoscere il fatto che l᾽omosessualità non sia una malattia;
  • accusare gli omosessuali di eccessiva indiscrezione, al posto di riconoscere il valore aggregativo e oppositivo dei Pride e dei coming out;
  • non vedere di buon occhio il divorzio, la stessa contraccezione e la fecondazione assistita, piuttosto che essere favorevoli al divorzio, all᾽uso (e alla distribuzione) di preservativi e ai metodi di fecondazione artificiale;
  • il richiamo alla morigeratezza sessuale, piuttosto che un atteggiamento più positivo verso la sessualità;
  • una prevalenza del significato riproduttivo della sessualità, piuttosto che affettivo o edonistico.

Il discorso che voleva essere fatto passare dal convegno in Gran Guardia si basava su tre presupposti che reggono la struttura sapere/potere/discorso contemporanea, per quanto riguarda il genere, ma che la post modernità sta lentamente scalzando; e in sintesi, riguardano:

  • Un potere di tipo fallogocentrico incentrato sul dominio maschile che esercita la sua violenza sui due grandi esclusi (dal punto di vista umano, senza considerare qui l᾽animale), da questo potere: la donna e l᾽omosessuale;
  • Un sapere di tipo eteronormativo che vede negli orientamenti diversi da quello eterosessuale una pericolosa derivazione dalla norma “monosessuale” (Mario Mieli, 1977); si avvale di un sistema di conoscenza di tipo medico e psico(pato)logico di patologizzazione delle sessualità non normative (Michel Foucault, 1976) e produce pratiche di tipo omo e transfobico (sull᾽omofobia, particolarmente interessanti a livello italiano risultano anche gli studi di Vittorio Lingiardi, 2007) riservate a chi viola la norma etero normativa. Questo tipo di sapere, eteronormativo, risulta funzionale anche al mantenimento di una struttura di dominio di tipo capitalistico (Mario Mieli, 1977) tesa al mantenimento di rapporti di genere basati sull’assoggettamento della donna da parte dell’uomo (Engels, 1884) funzionali alla preservazione del capitalismo stesso. Contro cui è però possibile opporre lo schizotipico desiderio antitotalitarista di una macchina umana non totalmente assoggettabile al dominio del capitalismo e della psicanalisi (Deleuze-Guattari, 1972), quindi anche la forza del principio di piacere contro quello di prestazione (Marcuse, 1955) per evitare la riduzione dei corpi a strumento di lavoro e di (ri)produzione del capitale;
  • Un discorso di tipo binario, uomo versus donna; binarismo che nel discorso contemporaneo si connota come naturale, incontestabile, dato e non come l᾽esito di una costruzione sociale che in un determinato contesto storico ha attribuito – complice il diktat normalizzatore del binomio sapere/potere- determinate caratteristiche al maschile e al femminile, portando addirittura alla creazione di un genere quasi terzo (Ulrichs lo definiva “il terzo sesso”), non compreso e incomprensibile all’interno di questa rigidità binaria e contro il quale, come verso la donna, vengono spesso usati termini infamanti e provocatori (Luce Irigaray; 1985; Judith Butler 1997).

Non si può quindi tralasciare di riconoscere l’esistenza di questi meccanismi del discorso e della loro sotterranea violenza. Una violenza che agisce in un certo senso a livello pre-linguistico e che non ha effetto solo sul linguaggio, ma anche sulle azioni (e il pensiero) che orienta. Individuare i rischi di un discorso fallogocentrico può aiutare a prevenire comportamenti orientati al fallogocentrismo, come individuare le insidie dell’eteronormatività permette una diversa prospettiva che possa mettere in dubbio l’arbitraria normalità di quello che è definito abitualmente, normale.

Nel fallogocentrismo intervengono molte più componenti di quelle che si potrebbe pensare: non solo il fallo, non solo il logos messi al centro del discorso. Jacques Derrida parla anche di carno-fallogocentrismo

 

“Carno-fallogocentrismo, quindi. Si leggono, in questa condensazione, anche più parole di quante non siano direttamente pronunciate: carne, fonocentrismo, logocentrismo, fallocentrismo, ma anche fonologismo, fonologocentrismo, fallogocentrismo. Il carno-fallogocentrismo sembra incamerare, incorporare, una serie di elementi che s’aggregano tra loro in modo essenziale, si legano e si susseguono l’un l’altro come gli anelli di un serpente: l’articolazione tra fonocentrismo, logocentrismo, fallogocentrismo e carno-fallogocentrismo non fa che approfondire, chiarire e confermare l’idea stessa di soggetto sovrano come ipseità, che si costituisce e si definisce a partire da un’implicazione originaria tra il logos, il fallo e il mangiare carne. (…) Il fallogocentrismo, altro anello della condensazione derridiana, fa segno verso il mangiare, il logos e il fallo: questo è l’intreccio che fornisce il nutrimento al soggetto, lo tiene vivo, lo fa funzionare, lo sfama, lo sostenta, lo sostiene. Il soggetto sovrano è un personaggio virile, dotato di fallo. Derrida lo ricorda senza sosta nei suoi seminari: la donna, il bambino, l’animale sono esclusi dalla scena della sovranità occupata interamente da figure maschili.” (L. Odelio, Jacques Derrida: decostruzioni, Aut aut, 327, 2005).

 

E ovviamente, anche se qui non è esplicitato, non solo donne, bambini e animali vengono rimossi dallo scenario della sovranità, ma con loro anche le persone lgbt(q)i.

Ricordiamo come per Derrida sia fondamentale un processo di decostruzione che smascheri la violenza di una certa metafisica della presenza, per portare in luce la differenza, l’altro, l’assenza; e che nella sua opera decostruttiva, Éperons, riflette, decostruendo Nietzsche, sulla verità come donna e dicendo, in merito al fallogocentrismo

 

La donna è condannata, degradata, disprezzata, in quanto figura o capacità di menzogna. La categoria dell’accusa viene qui prodotta in nome della verità, della metafisica dogmatica, del sempliciotto che mette avanti la verità e il fallo come attributi suoi propri. I testi – fallogocentrici – scritti a partire da questa istanza reattiva e negativa sono numerosissimi”.

 

A questo punto, anche se ardito, risulta efficace affiancare un passo “decostruzionista” di Derrida, presente nel medesimo libro, dove si dice In verità la donna, la verità, non si lascia prendere a un tentativo “decostruzionista” di Lacan da parte della Butler. Infatti per capire meglio il concetto di fallogocentrismo, bisogna risalire ad un’interpretazione lacaniana della Butler, che fa comprendere in che modo l’Altro, ossia la donna (ma lo stesso discorso potrebbe valere per l’Altro in quanto persona omosessuale; o l’Altro in quanto animale), che viene a coincidere con lo stesso “essere il Fallo” , sia l’esito di una riflessione ed elaborazione del potere maschile

 

“Essere”il Fallo e “avere” il Fallo denotano posizioni sessuali divergenti o non posizioni (posizioni impossibili, in realtà) all’interno della lingua. “Essere” il Fallo equivale a essere il “significante” del desiderio dell’Altro e a sembrare tale significante. In altre parole, equivale a essere l’oggetto, l’Altro di un desiderio maschile (eterosessualizzato), ma anche a rappresentare o a riflettere quel desiderio. Questo Altro non costituisce il limite della mascolinità in un’alterità femminile, bensì il sito di un’autoelaborazione maschile. Per le donne “essere” il Fallo equivale allora a riflettere il potere del Fallo, a significare quel potere, a “incarnare” il Fallo, a fornire il sito in cui esso penetra e a significare il Fallo “essendo” il suo Altro, la sua assenza, la sua mancanza, la conferma dialettica della sua identità. Affermando che l’Altro privo di Fallo è chi è il Fallo, Lacan indica con chiarezza che il potere è gestito da questa posizione femminile di non-avere e che il soggetto maschile che “ha” il Fallo necessita di questo Altro per confermare e, dunque, essere il Fallo in senso esteso. (…)” (Judith Butler, Gender Trouble: Feminism and the Subversion of Identity, 1990, trad.it. Scambi di genere. Identità, sesso e desiderio, Milano, Sansoni, 2004, p. 66).

 

Se per Derrida (in Éperons- Sproni, 1978) la verità è donna; se per la Butler la donna è il fallo (Gender Trouble, 1990), si potrebbe azzardare il sillogismo: la verità è il fallo e comprendere che è proprio contro questa visione fallo(logo)centrica della verità che bisogna scagliarsi per afferrare l’altro, l’altra verità, che sfugge.

Una possibile soluzione nella ricerca di questa verità “altra” ci deriva da quella sfida contemporanea che consiste nella decostruzione dei generi maschile e femminile, per pluralizzarli in modo queer nelle infinite possibilità (lgbtqi ecc…) rese possibili dall’affermazione di sessualità non normative.

Quella queer si configura allora come una lotta permanente, un’azione di resistenza al potere di questo dominio normativo che produce, con la complicità di chi riproduce questi discorsi, uno specifico discorso oppressivo sui corpi che disciplina e controlla.

Chiamando in causa la parola “queer”, è doveroso rilevare come questo termine abbia una triplice natura; può infatti essere utilizzato come aggettivo, come nome e come verbo. Come aggettivo

 

“Queer is a continuing moment, movement, motive-recurrent, eddying, troublant. The word “queer” itself means across – it comes from the Indo-European root –twerkw, which also yields the German quer (traverse), Latin torquere (to twist), English athwart… Keenly, it is relational and strange” (Sedwick, Tendencies xiii) (D.E.Hall, Queer Theories, Houndmills, Basingstoke, Hampshire, Macmillan, 2003, p.12).

 

Utilizzato come nome, in un sistema di classificazione tipicamente vittoriano e “scientifico”, (come già denunciava Foucault) di tipo gerarchico e binario, coprirebbe i significati dei livelli più bassi: in questa logica per cui essere donna rappresenta essere meno di un uomo, essere di colore meno che essere bianchi, essere omosessuali meno che eterosessuali

 

“One version of being “a queer” is simply to occupy the lower half of the last hierarchized binary”.

 

Come verbo invece assume la concretezza di una sfida sovversiva

 

“The fear is always that the “queer” noun will take on a transitive verb form, will spread its queerness, convert others, awaken discontent and undermine the system”.

 

È contro i regimi della norma e del normale (regimes of the normal) contro cui si scagliano le teorie queer.

Le istituzioni discorsive e quel potere che abbiamo visto servirsi di discorsi dominati da fallogocentrismo, eteronormatività e omo/trans fobia, non sono prive di effetti; quello che producono e riproducono sono soprattutto atteggiamenti discriminatori nei confronti degli “esclusi” dal dominio. Ne sono consapevoli anche molti dei nostri connazionali, che riconoscono l’esistenza di comportamenti discriminatori ai danni, ad esempio, delle persone lgbt(q)i.

Per il 61,3% degli intervistati della ricerca ISTAT “La popolazione omosessuale nella società italiana” infatti gli omosessuali sono discriminati. Negli ultimi 5 anni però la metà della popolazione ritiene che la situazione sia migliorata mentre il 40,5% dice di non vedere cambiamenti.

Il 40,3% delle persone omosessuali intervistate ha subito discriminazioni, percentuale che sale al 53,7% se si considera la discriminazione nei servizi sanitari, nella ricerca di una casa e in locali pubblici. Il 13% ha dovuto cambiare casa.

È percepita una maggiore discriminazione ai danni delle transessuali rispetto che degli omosessuali (80,3% vs 61,3%).

Per quanto riguarda il linguaggio offensivo (hate speech) il 47,4% degli intervistati sente parlare conoscenti che usano nei confronti dell’omosessualità un linguaggio offensivo; ma solo l’8% degli intervistati dichiara di farlo a sua volta. Dato che sembra risentire enormemente della preoccupazione dell’intervistato di non dare un’immagine negativa di sé all’intervistatore…ci sono buone ragioni per credere che le percentuali di chi lo usi siano di gran lunga maggiori.

Sono più aperte verso le persone lgbt le donne (con oltre 5 punti percentuali di differenza per ogni risposta), i giovani e la popolazione del Centro Nord.

Se la maggior parte degli intervistati ritiene che le persone lgbt(q)i debbano avere gli stessi diritti, questi diritti però restano un’astrazione e non c’è unanime consenso su questioni reali (ad esempio matrimonio e adozione) in merito alle quali il trattamento giuridico è diverso: il 62,8% è d’accordo che gli omosessuali debbano avere gli stessi diritti per legge, ma solo il 43, 9% è favorevole al matrimonio omosessuale. Le percentuali calano ancora di più se si parla di adozione: accettata per il 23,4% se la coppia è lesbica, per il 19,4% degli intervistati se la coppia è gay.

L’Italia, come è possibile vedere dal report annualmente pubblicati da ILGA Europe (International Lesbian, Gay, Bisexual, Trans and Intersex Association), aggiornato a maggio 2013, è uno degli ultimi Paesi europei per quanto riguarda le politiche lgbt(q)i.

I punteggi sono attribuiti a seconda di alcuni criteri, a loro volta suddivisi al loro interno

 

“Equality and non discrimination, Family, Bias motivated speech/violence, Legal gender recognition, Freedom of assembly, association & expression, Asylum”.

 

Chi promuove una legge o un provvedimento favorevole alla comunità lgbt(q)i in uno o più dei campi indicati nella tabella, acquisisce punti. La Russia, che è il Paese europeo con lo score più basso si attesta sul 7%; la Gran Bretagna, che ha quello più alto, sul 77%; l’Italia ad un misero 19%.

“È da ricordare che un tipo di sapere/potere e discorso etero normativo e fallogocentrico risulta funzionale anche al mantenimento di una struttura di dominio di tipo capitalista tesa al mantenimento di rapporti di genere basati sull᾽assoggettamento della donna da parte dell’uomo e degli omosessuali da parte degli eterosessuali. A proposito, Mario Mieli, nei suoi Elementi di critica omosessuale scriveva

 

Se la transessualità è il vero telos, si potrà conseguire solamente quando le donne avranno sconfitto il “potere” maschile fondato sulla polarità dei sessi e gli omosessuali avranno abolito la Norma diffondendo l’omosessualità universalmente. Inoltre, data l’importantissima funzionalità al prolungarsi del capitalismo della subordinazione femminile e della sublimazione nel lavoro delle tendenze dell’Eros definite “perverse”, la (ri)conquista della transessualità avrà luogo con la caduta del capitalismo e con il rifiuto del lavoro alienato e alienante: la lotta degli omosessuali e delle donne è (fondamentale per) la rivoluzione comunista”.

 

E in realtà un’alleanza visibile, tra alcune esponenti dei movimenti femministi e altri intellettuali e attivisti lgbt(q)i c’è è già stata: condividendo una simile violenza, non solo simbolica, dello stesso dominio, le donne risultano più sensibili alle tematiche lgbt(q)i. L’emancipazione femminile ha beneficiato anche del controllo della propria sessualità e dell’ingresso nel mondo del lavoro della componente femminile

 

“Nel passato, quando il potere di disporre della proprietà era in stretta correlazione con la paternità, gli uomini più anziani cercavano di controllare la sessualità delle donne. “Le donne sono state assai raramente agenti autonomi in materia di sessualità e procreazione e hanno potuto esercitare solitamente un’autogestione delle proprie prerogative biologiche” (W.Seccombe, 1997): con la modernità e, soprattutto, dopo la seconda guerra mondiale,le donne iniziano, in particolare in Italia, ad operare un consapevole e regolare controllo delle nascite. Le donne iniziano ad articolare diversamente, nelle loro biografie di vita, il rapporto tra lavoro produttivo e lavoro riproduttivo” (Di Nicola, 2005).

 

Per quanto riguarda il dominio maschile, secondo il sociologo Pierre Bourdieu (1998)

 

“la particolarità di questo rapporto di dominazione simbolica è di esser legata non a segni sessuali visibili, ma alla pratica sessuale. La definizione dominante della forma legittima di questa pratica come rapporto di dominio del principio maschile (attivo, penetrante) sul principio femminile (passivo, penetrato) implica il tabù della femminilizzazione sacrilega del maschile, cioè del principio dominante, che è inscritta nel rapporto omosessuale”.

 

Uno degli aspetti più insidiosi di questo dominio, è rappresentato dal fatto che anche i dominati si trovano ad accettare questo stesso dominio, che è quindi riprodotto anche grazie, purtroppo, alla loro complicità

 

“Il dominato tende ad assumere su se stesso il punto di vista dominante: soprattutto attraverso l’effetto di destino, prodotto dalla categorizzazione stigmatizzante e in particolare dall’insulto, reale o potenziale, il dominato può così essere condotto ad applicare a se stesso e ad accettare, contro la sua volontà, le categorie di percezione rette (…) e a vivere nella vergogna l’esperienza sessuale che dal punto di vista delle categorie dominanti, lo definisce”.

 

Si tratta, nel caso dell’omosessualità, ad esempio, di quel fenomeno che prende il nome di omofobia interiorizzata. (Lingiardi, 2007).

Oltre alle donne e alle persone lgbt esiste poi un terzo soggetto/oggetto di questo dominio, sul quale in realtà viene adoperata una violenza ancora più atroce; Jacques Derrida, autore, tra gli altri, anche del libro L’animale che dunque sono, abbiamo visto parlare a proposito di Carno-fallogocentrismo, in cui intervengono gli elementi della carne, del mangiare, del logos e del fallo.

Il soggetto virile, dotato di fallo, viene sfamato sessualmente e alimentato servendosi di questi altri soggetti, che subiscono il suo dominio, in alcuni casi arrivando, praticamente impotenti, soprattutto se si tratta degli animali, ad affermarlo fino alla loro morte.

Eppure, affermando anche la loro alterità, di donne, omosessuali, animali, lo obbligano anche a ripensare e mettere in discussione le categorie stesse, sia a livello di pensiero che di riproduzione sociale, su cui si fonda la violenza di questo dominio.

“Per denunciare le categorie fondazionali di sesso, genere e desiderio come effetti di una specifica formazione di potere è necessaria una forma di indagine critica che Foucault, riformulando Nietzsche, denomina “genealogia”. Una critica genealogica si rifiuta di cercare le origini del genere, la verità interiore del desiderio femminile, un’identità sessuale autentica e genuina che la repressione ha nascosto alla vista; la genealogia preferisce studiare i rischi politici insiti nel designare come origine e causa le categorie dell’identità che sono, in realtà, gli effetti di istituzioni, pratiche e discorsi con punti d’origine molteplici e diffusi. Il compito di questa indagine consiste nell’incentrarsi su (e nel decentrare) simili istituzioni definitrici: il fallogocentrismo e l’eterosessualità obbligatoria.” (Judith Butler, Gender Trouble: Feminism and the Subversion of Identity, 1990, trad. it. Scambi di genere. Identità, sesso e desiderio, Milano, Sansoni, 2004, pp. XXVI-XVII).

 

Bibliografia

Bernini Lorenzo, Maschio e Femmina Dio li creò!? Il sabotaggio transmodernista del binarismo sessuale, Il Dito e La Luna, Milano 2010.

Bourdieu Pierre, Il dominio maschile, tr. it. Feltrinelli, Milano 1998.

Butler Judith, Scambi di genere: identità, sesso e desiderio, tr. it. Sansoni, Milano 2004

Butler Judith, Corpi che contano. I limiti discorsivi del “sesso”, tr. it. Feltrinelli, Milano 1996.

Butler Judith, Parole che provocano. Per una politica del performativo, tr. it. Raffaello Cortina Editore, Milano 2010.

Derrida Jacques, L’animale che dunque sono, tr. it., Jaca Book, Brescia 2009.

Di Nicola Paola, Crisi della natalità e nuovi modelli riproduttivi. Chi raccoglie la sfida della crescita zero?, Franco Angeli, Milano 2005.

Foucault Michel, Le parole e le cose, tr. it., Rizzoli, Milano 1970.

Foucault Michel, L’ordine del discorso, in P. Veronesi, Foucault, Il potere e la parola, Zanichelli, Bologna 1978.

Foucault Michel, La volontà di sapere. Storia della sessualità 1, tr. it., Feltrinelli, Milano 2009.

Istat, La popolazione omosessuale nella società italiana, 2011.

Lingiardi Vittorio, Citizen gay, Famiglie, diritti negati e salute mentale, Il Saggiatore, Milano 2007.

Mieli Mario, Elementi di critica omosessuale, Feltrinelli, Milano 1997-2002.

Odelio Laura, “Jacques Derrida: decostruzioni”, Aut Aut, CCCXXVII, 2005.

 

*      Dottoranda in Sociologia e Ricerca Sociale – Università di Verona.



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