Testati dagli animali – nuova sezione di Liberazioni e intervista a Judith Butler
Testati dagli animali
Inauguriamo, con questo numero, una nuova sezione, che avrà necessariamente un carattere saltuario. Questa sezione ospiterà conversazioni con pensatrici e pensatori che, pur non appartenendo all’ambito antispecista, hanno elaborato strumenti concettuali indispensabili per esplorare la questione animale e per individuare percorsi che si muovano in direzione della liberazione del vivente.
Siamo convinti che esistano là fuori, oltre i confini identitari se non addirittura meschinamente egocentrici di tanta parte del movimento animalista, riflessioni che hanno aperto prospettive inedite e ancora inesplorate dal punto di vista delle bestie sul mondo, sulla vita, sui corpi e sul potere. A partire da pensatori e pensatrici come, per citare solo qualche nome, Adorno, Agamben, Butler, Derrida, Deleuze, Esposito, Foucault, Nancy e Negri, si sono sviluppate riflessioni ormai imprescindibili per muovere una critica autenticamente radicale dell’esistente. Tali riflessioni, però, necessitano ancora di essere messe alla prova circa la loro reale capacità di fornire strumenti per la costruzione di relazioni interspecifiche fondate sull’orizzontalità e sui desideri, anziché sulla sopraffazione e sul dominio. Le elaborazioni più lungimiranti in questo campo contengono, infatti, in nuce elementi dirompenti di decostruzione del confine, finora saldamente presidiato, fra “umano” e “animale”, elementi che potrebbero addirittura portare alla luce l’animalità che percorre la stessa impresa filosofica, contagiose inquietudini per la condizione di tutti i senza nome sterminati quotidianamente nei campi e nei mattatoi di tutto il mondo (inclusi, quindi, quei senza nome troppo spesso pensati come “senza voce” tanto da chi trae profitto dai loro corpi quanto dalla debolezza di un pensiero neoanimalista che si spinge a dileggiare volgarmente quegli individui che, facendo appello alla nostra solidarietà, evadono dai macelli, resistono negli allevamenti e si ribellano nei circhi e negli zoo).
In breve, queste teorie devono essere testate dagli animali. Devono essere messe alla prova per saggiarne l’impatto sovversivo sulle prassi consolidate e per lo più indiscusse di sfruttamento nei confronti del mondo non umano. Alcuni elementi del pensiero del XX e XXI secolo sono, infatti, risultati particolarmente fecondi per contestare a fondo il modello neo-liberista, che pretende di essere l’unico interprete di ogni forma di relazione intra-umana. Diventa perciò irrinunciabile per l’antispecismo capire se queste riflessioni possano o meno cimentarsi con le domande che emergono dai piani più bassi del grattacielo sociale in cui ancora viviamo, «la cui cantina è un mattatoio e il cui tetto è una cattedrale». Dopo i “test sugli umani” è tempo di passare ai “test sugli animali”, invertendo la logica della religione scientista. C’è poi un altro modo in cui la sperimentazione animale, una delle pratiche più emblematiche della reificazione dei non umani, viene qui ribaltata. In questa sezione, ancora più che nelle altre, le cavie reclameranno il controllo sul significato dei test: che cosa dobbiamo chiedere a questi strumenti di pensiero? Quali sono le domande da porre? Come utilizzarli? Per liberare chi e in che modo? Non più testati sugli animali, ma testati dagli animali, appunto.
Nel primo contributo di questa serie – l’intervista a Judith Butler pubblicata su questo numero – iniziamo con il domandarci che cosa possa offrire agli animali e alla loro causa il pensiero di una delle maggiori filosofe viventi, fin dove è possibile spingere quanto da lei elaborato (e, nel solco della sua opera, da altr*) sulle questioni relative all’identità di genere, sulla teoria queer, sulla costituzione del soggetto umano e sul potere, sull’etica delle relazioni e sull’aggressione della Palestina. E lo abbiamo chiesto a lei in prima persona, stimolando la presa in carico delle possibili conseguenze di una teoria radicale, proprio perché l’utilità di un pensiero in grado di favorire il cambiamento non può che essere testata da chi – nei mattatoi, negli stabulari e in tutti gli altri dispositivi di detenzione e reclusione – un cambiamento lo chiede in ogni momento: con un muggito, un ringhio, un grugnito, un urlo, con la fuga, con la malattia, con la rabbia e la disperazione, con le lacrime o con il silenzio.
Desideriamo dedicare questa intervista alla popolazione di Gaza sottoposta, nel momento in cui stiamo scrivendo, all’ennesimo attacco militare israeliano, e a Camilla, mucca evasa da un allevamento a Vinci e catturata dopo un mese, alla quale auguriamo di ritornare presto latitante.
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