Teorie e strategie per l’antispecismo – intervista a Yves Bonnardel
Dall’archivio di Liberazioni:
La redazione di Liberazioni ha intervistato Yves Bonnardel, per conoscere meglio il suo percorso di militanza, insieme alle sue valutazioni politiche e alle sue riflessioni teoriche.
Puoi presentarci i Cahiers antispécistes? Qual è stato il motivo della loro fondazione?
Si tratta di una rivista militante, incentrata sulla filosofia morale e sull’analisi politica e strategica, che è stata creata nel 1991 allo scopo di contribuire alla nascita di un movimento antispecista in Francia. Si trattava di dare la possibilità al giovane movimento di fornirsi di basi di riflessione e di azione, e di comunicare le informazioni che lo riguardavano. Effettivamente, ciò ci ha permesso di intraprendere una riflessione di fondo, di tradurre numerosi autori, soprattutto anglosassoni, che erano completamente inediti e sconosciuti in Francia, e di dare il via ad un movimento francese che finalmente è molto attento verso ciò che esiste nel resto del mondo.
Pensate di riuscire a far evolvere la mentalità dei non militanti attraverso la filosofia?
Nel caso dello specismo, non vedo come si potrebbe cambiare il mondo senza una vera e propria rivoluzione culturale. Sono i fondamenti stessi della nostra morale, nel nostro modo di fare politica, della nostra visione del mondo etc. che devono essere rivisti. L’antispecismo porta necessariamente ad una rivoluzione culturale più ampia, che non si realizzerà facilmente, e soprattutto non da sola. La filosofia, ma anche l’analisi politica sono molto importanti. È grazie a loro che il movimento in Francia è un vero movimento politico, che si propone degli obiettivi di trasformazione della società, e che riflette veramente sui mezzi teorici e pratici per giungervi. Il che è notevole, all’interno di una sinistra che segue con più facilità i cambiamenti di umore piuttosto che darsi strategie coscienti attraverso riflessioni di fondo.
Non sempre ci rivolgiamo ai/alle non militanti direttamente con la filosofia, ma la filosofia (o semplicemente l’analisi) ci aiuta a riflettere sulle idee che intendiamo mettere in evidenza, su ciò che dobbiamo criticare, in una parola ci aiuta a definire cos’è lo specismo e quali sono le ideologie sue complici, e quali saranno i metodi da utilizzare per rimetterlo in questione.
Pensi che ci siano delle similitudini tra specismo, razzismo, sessismo, adultismo? Cosa ti fa pensare la frase “prima gli umani”?
Una sociologa francese, Colette Guillaumin, ha mostrato molto bene che finché ci sono rapporti sociali di appropriazione, i dominanti guardano a se stessi come soggetti individualizzati, liberi, aventi un valore in sé e agenti secondo dei fini individuali. Invece i dominanti vedono i dominati come delle cose (il che è normale dal momento che essi sono di loro proprietà), cioè come esseri non individualizzati, non agenti secondo fini personali ma al contrario asserviti ad un fine esterno a loro (le donne per esempio sono al servizio della riproduzione della specie, i bambini devono sottomettere la loro vita alla necessità di diventare adulti, gli animali sono o al nostro servizio o ingranaggi degli Equilibri naturali…), come modelli e rappresentanti della loro Categoria (le donne rappresentano l’Eterno Femminino, gli individui animali sono rappresentanti della loro specie, i neri sono esemplari indifferenziati del tipo Nero, l’esistenza dei bambini non esprime altro che l’Infanzia etc.) e li vedono come esseri determinati; i dominati non si vedono mai riconoscere una reale coscienza loro propria: essi sono programmati dalla Natura (che sostituisce Dio nell’immaginario religioso contemporaneo) per occupare il loro spazio sociale… ma no, naturale!, essi hanno degli istinti (contrariamente ai dominanti i quali sono guidati dalla ragione) etc.
Il Partito Umanista tempo fa affiggeva dei manifesti intitolati “prima gli umani”. È questo infatti il credo umanista, che si guarda bene dal tentare di giustificarlo. Gli umanisti si guardano dal dire che è l’appartenenza ad una categoria biologica che dà valore agli umani e toglie valore agli individui sensibili di altre specie, perché ciò ricorderebbe troppo il razzismo, cosa che loro preferiscono evitare. Dunque dicono: “è per il fatto che gli umani sono liberi (o razionali o intelligenti…) al contrario degli animali, dai quali ci separa un abisso”. In realtà non si vede perché questo criterio di libertà (o di ragione o di intelligenza…) sarebbe pertinente per decidere di chi preoccuparsi e di chi fregarsene. E chiaramente quel criterio, se fosse veramente preso sul serio dagli umanisti, servirebbe a giustificare l’ingrassamento di neonati umani per i nostri pasti, oppure degli anziani arteriosclerotici, o dei soggetti autistici o… Francamente, perché il fatto che un neonato sia meno intelligente di un presidente della Repubblica, di un truffatore, di una Marie Curie o di un Mozart dovrebbe legittimare il trattarlo in qualunque modo, il disinteressarsi del suo interesse a vivere una vita la più soddisfacente possibile, la meno dolorosa possibile? E se questi criteri non sono validi per giustificare che si mangino i neonati, perché lo sarebbero per giustificare che si mangi un maiale o una trota? Forse perché il neonato è umano? Perché appartiene alla categoria biologica umana? Ma a questo punto, perché essere contro il razzismo, contro il fatto di non considerare gli interessi di chi non appartiene alla nostra “razza” (o al nostro “sesso”)?
L’umanismo è uguale allo specismo. Oggi si pretende che l’umanismo sia il partito dell’uguaglianza. Ma l’umanismo ha legittimato la dominazione maschile o la schiavitù dei Neri per secoli, oggi come ieri legittima la totale mancanza di diritti dei bambini etc. Il partito dell’uguaglianza, nel corso dei secoli, ha dovuto giocare contro l’umanismo dell’epoca. “Prima gli umani” è una frase che mi fa venire in mente le peggiori atrocità.
A parte la rivista, quali sono le altre vostre forme di azione?
Organizziamo o partecipiamo a conferenze e dibattiti, scriviamo articoli per altre riviste, pubblichiamo volantini, libri, manifesti… Abbiamo partecipato a gruppi locali, ad incontri nazionali ed internazionali, invitato filosofi stranieri… In generale, l’insieme delle nostre azioni è dedicato alla diffusione di idee: ritengo che al momento attuale sia ciò che importa di più.
In un mondo massicciamente specista, è l’affermazione di una critica dello specismo che deve venir prima di ogni forma di azione “pratica” (come liberare animali destinati alla macellazione, per esempio). Il nostro scopo non è salvare dieci, cento, mille o centomila individui tra i miliardi che, solo in Francia, vengono uccisi ogni anno, ma cambiare la società tutta intera, affinché nessuno, domani, e neanche dopodomani, opprima più gli individui sensibili di altre specie. Una simile rivoluzione non si realizzerà solamente attraverso un cambiamento paternalista delle sensibilità, ma passerà necessariamente attraverso una trasformazione delle basi stesse del nostro modo di percepire gli altri esseri sensibili, e dunque anche di percepire noi stessi, le relazioni tra umani, il mondo, la società etc.
Nell’ottica dell’uguaglianza animale, le azioni prendono senso soprattutto se servono a promuovere l’idea di uguaglianza animale, l’idea che la discriminazione specista è ingiusta, ingiustificabile ed è importante combatterla tanto quanto altre discriminazioni, per esempio razziste, sessiste, adultiste etc. Altrimenti, si riesce a salvare qualche individuo che viene rimpiazzato in modo praticamente automatico da altri che subiranno la medesima sorte, e si rischia di dover fare ancora la stessa cosa tra 500 anni!
La maggior parte delle persone impegnate nell’antispecismo in Italia crede che si tratti di una lotta “trasversale” e che non occorra avere idee politiche precise per definirsi “antispecista”.
Sì, in Francia era lo stesso 15 anni fa! Ora la situazione è molto cambiata; quando Le Pen si è candidato alle presidenziali nel 2002, una grande organizzazione che si chiama One Voice ha emesso un comunicato in cui si rammaricava che nessun partito politico avesse fatto menzione della protezione degli animali nel suo programma elettorale, salvo il Fronte Nazionale; aggiungendo che, anche se OV deplorava questa assenza nei programmi di altri partiti politici e se ne domandava la ragione, era tuttavia fuori questione sostenere un partito, quello di Le Pen, che difende idee inegualitarie, mentre la lotta per gli animali si iscrive al contrario in una logica egualitaria! Questo tipo di reazione da parte di una grande organizzazione animalista sarebbe stata impensabile ed inimmaginabile solo 10 anni fa!!!
Credi che una persona di destra abbia “diritto” di lottare per gli animali, se è vegetariana?
Dipende da cosa intendi per “destra”; molte persone di destra pensano di essere (e forse a volte lo sono davvero) per l’uguaglianza e in questo caso non è incoerente; alcuni sono di destra perché pensano che la chiusura delle frontiere, per esempio, è meglio per tutti; o sono per la repressione penale per le stesse ragioni etc. Non tutte le persone di destra sono inegualitarie, anzi, posso dirti all’inverso che la gente di sinistra è lungi dall’essere tutta egualitaria (sulla questione dell’immigrazione, su quella dei bambini, degli animali, delle donne etc.). Insomma, io credo che si tratti di una divisione diversa da quella tra destra e sinistra, più complicata: per esempio nel mio caso, anche se è chiaro che mi colloco in una cultura di sinistra — si tratta dei miei riferimenti storici -, non mi riconosco molto negli ambienti di sinistra per come esistono ed infieriscono, che ritengo essere molto reazionari, quasi i più grandi ostacoli ad un reale miglioramento del mondo. Bene, non dico questo per valorizzare la destra, che non è migliore, anzi è peggiore. Ma per ciò che riguarda avere il diritto o no di lottare per gli animali, penso ovviamente che tutti abbiano questo diritto, e anche che debbano prenderselo! Ciò non significa che tutti siano coerenti con le loro scelte, con le loro idee etc. ma se ognuno deve aspettare di essere sicuro di avere le carte in regola per iniziare… Ed è anche nella lotta, attraverso le discussioni, che si può cambiare, fare critica ed autocritica, modificare le proprie attitudini e i propri valori…
Ritieni possibile collaborare con gente di destra che lotta per gli animali?
Per quanto mi riguarda, penso che sia possibile; bisogna vedere come. È possibile in una certa misura lavorare con gente di destra, in una certa misura con dei mistici, dei cristiani, dei “regionalisti” o quant’altro… quando si tratta di lavorare concretamente (per esempio, nel Veggie Pride); ma quando si tratta di divulgare idee, non è più possibile farlo insieme a persone con cui non si è d’accordo: con dei mistici o con degli inegualitari, per esempio.
Qual è il vostro rapporto con i partiti politici?
Per il momento, nessuno, da parte mia; c’è stato un momento in cui i Verdi hanno tentato di farci credere che si interessavano alla questione, ma era falso, e il contatto si è interrotto rapidamente (in ogni modo, il contatto non si era quasi per niente sviluppato). Il resto della sinistra se ne frega, o arriva perfino ad esserci esplicitamente ostile (José Bové, i cristiani di sinistra, i laici, la quasi totalità dei comunisti, una buona metà degli anarchici…); gli altri partiti non ci conoscono neanche.
Pensi che si possa collaborare con tutti i partiti o solo con alcuni?
Anche qui, tutto dipende dal livello in cui si sta lavorando: se si vuole proporre all’opinione pubblica il dibattito sull’uguaglianza animale, evidentemente non lo si può fare insieme a persone le cui idee sono del tutto opposte; se si vuole criticare il naturalismo, non lo si può fare con dei mistici/religiosi; ma se si vuol far passare qualche nuova legge su delle forme di sfruttamento meno brutale, si può tentare di collaborare con persone con cui per il resto non si è d’accordo; a condizione che le cose siano chiare, che i disaccordi eventuali siano espliciti, e che un’azione comune non sia presa come una complicità, un consenso implicito, un accordo, un sostegno. Ma l’occasione non si è ancora presentata. Per quanto mi riguarda, ho riluttanza a lavorare con partiti politici: rifiuto di considerarmi parte di qualsiasi cosa, cioè rifiuto che un’entità qualsiasi mi consideri come un membro e, di qui, ritenga di avere dei diritti su di me (nello stesso modo in cui lo Stato nazione ritiene che io “appartenga” alla Francia, nel senso peggiore del termine, e dunque di avere il diritto di governarmi, per esempio!). In realtà, non ho molta voglia di lavorare con gente che considera normale “gestire”, “amministrare” il prossimo. Ma anche questo è un problema talmente sottile, nell’immensità dei problemi che la vita pone in questo mondo, che posso sicuramente metterlo da parte…
Spesso si dice, molto genericamente, che l’antispecismo è “legato” alle altre lotte di liberazione degli umani, ma non si è interessati a creare dei legami strutturali con movimenti politici e culturali definiti; di conseguenza, vengono utilizzati argomenti specisti per giustificare le posizioni antispeciste (come “la sperimentazione animale non è scientifica”, o “mangiare la carne fa male” etc.) ma in un modo del tutto strumentale, senza preoccuparsi realmente dei problemi degli umani: il risultato è che si rinforza ancora di più il pregiudizio specista. Ed è una vera contraddizione: si arriva a rinforzare lo specismo in conseguenza di un disinteresse per gli umani!
È interessante questa formulazione e varrebbe la pena svilupparla! In Francia, all’inizio abbiamo tentato di unire la teoria e la pratica antispecista con altre lotte; era perché noi stessi venivamo da ambienti libertari, antirazzisti, antisessisti, anticapitalisti, per un mondo senza frontiere e senza prigioni, contro il dominio degli adulti sui bambini etc. e si voleva realizzare una sinergia di lotte, sia a livello di attivismo che di riflessione. Abbiamo sviluppato delle analisi politiche della questione animale che contemporaneamente procedono da altre analisi iniziate da altri movimenti (come le analisi del razzismo e del sessismo che sono state fornite dal movimento di liberazione dei Neri o delle donne) e nella maggior parte dei casi le completano e le rinforzano allargando la questione al di là della “frontiera” della specie umana (un esempio è la critica dell’idea di natura). Poiché eravamo già militanti, abbiamo continuato a lavorare molto sul campo con gli altri militanti, ma è diventato sempre più difficile; alcuni hanno condiviso le nostre analisi ma molti si sono irrigiditi negando il problema ed arrivando a volte a tentare di ridicolizzarci se non di diffamarci; molto rapidamente ci siamo resi conto che gli ambienti rivoluzionari erano lungi dall’essere così “progressisti”, aperti, pronti a rimettersi in questione, come avevamo ingenuamente immaginato; al contrario, sono spesso ambienti imbevuti di superiorità politica e morale, e che di fatto accettano molto difficilmente le critiche, qualunque ne sia la provenienza (penso ad esempio alla critica femminista); e invece questa sarebbe la condizione fondamentale per una visione del mondo veramente critica, rivoluzionaria, aperta … Ne siamo lontani. D’altronde, mi accorgo che l’analisi critica, politica e teorica dello specismo, se da una parte ha una portata sovversiva enorme, in potenza, fa poca presa sulla gente: essa è poco utilizzata, sottovalutata, e in qualche modo sprecata; abbiamo uno strumento fantastico per cambiare il mondo, la nostra visione del mondo, i comportamenti ed i valori della nostra società, e quasi nessuno se ne accorge: le sue virtù sono i suoi difetti: a metter troppo a soqquadro il nostro sistema di valori e il nostro posto nel mondo, la gente si spaventa e si tiene a distanza. È un po’ il problema generale dell’antispecismo, così come si è sviluppato in Francia: mette in questione così tante cose, in modo così radicale, che si diffonde relativamente poco tra la popolazione. Può darsi che la nostra strategia di esplorazione del possibile (e dunque del modo in cui sovvertire l’ideologia umanista e il mondo che essa implica) fosse troppo avventurosa, troppo d’avanguardia, troppo avanti rispetto ai desideri della gente. Peccato! Per quanto mi riguarda, è ad un rovesciamento totale del mondo che aspiro!
Di fatto, ciò che sembra funzionare oggi sono le iniziative che provengono dagli antispecisti ma che non sono in sé antispeciste; degli eventi o delle manifestazioni che sono state pensate ed organizzate spesso con il bagaglio teorico antispecista ma che non sono esplicitamente antispeciste; penso al Veggie Pride, per esempio, che accoglie tutti coloro che sono vegetariani per gli animali e la cui organizzazione è aperta alle stesse persone senza alcuna restrizione, o ancora alla campagna Stopgavage per vietare la produzione di foie gras in Francia, grande campagna che raggruppa ora la maggior parte delle organizzazioni animaliste francesi, e che è completamente basata sulla considerazione degli interessi degli individui coinvolti, oche e anatre, escludendo ogni altro possibile argomento (salute umana, inquinamento etc.). Penso anche al sito “Animauzine”, che è in effetti un sito sulla questione animale, senza alcuna restrizione ideologica, il che permette a molta gente diversa di pubblicare informazioni o analisi; anche lì, sono degli antispecisti che l’hanno creato… Ci sono anche degli incontri che si chiamano “Estivalia della questione animale”, dove si ritrovano (sul posto e nell’organizzazione) numerosi antispecisti, ma che non sono in sé un’iniziativa antispecista.
Di conseguenza, aumentano gli antispecisti che non provengono da un ambiente militante “politico” ma da ambienti animalisti, o anche da ambienti che in partenza non sono affatto militanti (studenti etc.). Progressivamente, il movimento esce dai “ghetti politici”…
Detto ciò, esistono dei collettivi che sono esplicitamente per l’uguaglianza animale, soprattutto a Parigi, che fanno dei tavoli informativi, organizzano delle cene, delle azioni etc. In particolare, ogni anno si organizza un’azione d’assalto per bloccare l’entrata del Salone dell’Agricoltura (un evento di scala nazionale). Ci sono anche le azioni “sangue animale”, che mirano a spargere decine o centinaia di litri di finto sangue nelle vie pedonali delle città, distribuendo intanto volantini antispecisti; questa azione ha avuto luogo al massimo in otto città contemporaneamente; si è svolta già cinque volte, credo, ed è già in programma per ottobre e dicembre 2005… Anche lì, l’organizzazione è una rete orizzontale: in una cornice definita in anticipo, ognuno fa ciò che vuole per rivendicare la denominazione “sangue animale”… Le azioni “sangue animale” sono state esplicitamente concepite per continuare a fare delle azioni specificamente antispeciste, nel timore che avremmo finito col non farne più… queste azioni godono di una certa popolarità, attirano un bel po’ di gente, ma non tanta quanto vorremmo, perché la gente ha paura (a torto) di suscitare violenza da parte dei passanti.
Cosa sono delle azioni “specificamente antispeciste”? sono azioni che ovviamente non fanno del male agli animali, che denunciano il loro sfruttamento, e che fanno un discorso chiaramente antispecista, sia nel contenuto (argomenti per l’uguaglianza animale o in ogni caso contro lo specismo) sia nella forma, altrettanto importante: un volantino antispecista contro la vivisezione non argomenta che essa è nociva agli umani! Oppure, non dice che la consumazione di carne e pesce fa male alla salute umana o all’ambiente o alla nostra “elevazione spirituale” o altri orrori di questo tipo. Sarebbe completamente specista, in un mondo in cui gli animali e i loro interessi sono totalmente disprezzati, mettere sullo stesso piano i loro interessi vitali a non essere allevati, poi uccisi, poi mangiati, con delle considerazioni benintenzionate, ma che interessano direttamente gli umani (salute, economia, ecologia…). Nei fatti, un’azione antispecista consiste nel parlare esclusivamente degli interessi degli animali, eventualmente menzionando en passant che non è così complicato rifiutare lo sfruttamento e che non è nocivo per la nostra salute; ma si insiste molto sul fatto che non è quella la nostra motivazione! Effettivamente, funziona molto bene: la gente alla fine si rivela sensibile ad una argomentazione razionale, etica, che in più è nuova e spinge alla riflessione… Se ne hanno bisogno, chiedono delle informazioni supplementari sulla dieta vegetariana, per esempio; ma non lo si usa come argomento. Il nostro scopo è combattere lo specismo, non creare vegetariani preoccupati solo di sé (d’altra parte, non ne siamo capaci! Mi sembra che ora molta più gente diventa vegetariana per motivi etici piuttosto che per questioni di salute… per fortuna!)
Si potrebbe dire che la lotta antispecista debba essere intimamente connessa alle teorie e alle pratiche per la liberazione umana, senza perdere la propria identità. Per esempio, la lotta contro la sperimentazione animale dovrebbe unirsi a tutte le altre forme di critica alla medicina (contro la sperimentazione sugli umani, contro la normalizzazione, contro la meccanizzazione dell’organismo, per una medicina democratica ed “umana”) senza nascondere l’intenzione fondamentale di salvare e rispettare gli animali non umani: essa dovrebbe dunque utilizzare tutti gli argomenti possibili per cambiare l’attuale pratica medica, che è oppressiva verso tutti gli esseri che vi sono coinvolti (umani e non umani), e non solamente quelli che “funzionano” meglio.
Sì, forse. Ma non è questo il cammino che abbiamo seguito in Francia, soprattutto perché molte critiche della medicina sono “naturaliste” (pillole chimiche cacca contro buone erbe tradizionali e sagge della nostra terra…) e perché la priorità di molti antispecista è stata liberarsi il più possibile da tutto il naturalismo strisciante, man mano che ne prendevamo coscienza… Inoltre, non so se il legame tra queste critiche che tu proponi è un legame essenziale oppure semplicemente contingente; non so neanche se questo collegamento rischia di aggrovigliare il dibattito e di rendere di nuovo invisibile la questione animale… Tuttavia abbiamo spesso insistito, come dici tu, sul legame tra il rifiuto di sperimentazione forzata verso alcune categorie di umani e il rifiuto di quella verso altri esseri sensibili; effettivamente questo chiariva bene la posta in gioco.
In ogni caso, trovare alternative alla vivisezione non mi sembrano un compito degli antispecisti così come trovare alternative alla tortura (per ottenere informazioni dai prigionieri all’interno di regimi apertamente dittatoriali) non sono un compito di coloro che si battono per i “diritti umani”. Né la tortura né la vivisezione sono eticamente accettabili (in realtà la questione mi sembra più complicata, ma si riduce comunque globalmente a questo), e la prima alternativa da considerare è la loro scomparsa. Con cosa rimpiazzarle se il bisogno persiste è un’altra storia che non mi riguarda, per ora. È lo stesso discorso di “quali alternative reali esistono al prelevamento di organi da bambini poveri dei Paesi del Terzo Mondo? “; la prima risposta che viene in mente, credo, è “bisogna che questo finisca immediatamente, le alternative si cercheranno dopo”. Trovo che rispondere diversamente nel caso della vivisezione sia un buon esempio di specismo.
Per tornare al rapporto con le altre lotte, mi sembra chiarissimo comunque che si può unire il rifiuto della discriminazione specista al rifiuto della discriminazione sessista o razzista (ed anche adultista!); è interessante da diversi punti di vista: da una parte, appoggiarsi su esempi paralleli o similari la cui legittimità è oggi generalmente riconosciuta (anche se si evita di trarre da questo riconoscimento le reali conseguenze pratiche; d’altra parte, mettere in evidenza le somiglianze di funzionamento delle ideologie corrispondenti (naturalismo sessista, razzista, specista…), il che si evolve molto facilmente in una critica generale dell’ideologia umanista, da un punto di vista egualitario. E, potenzialmente, consente un congiungimento di lotte, una sinergia o delle alleanze. Ma sfortunatamente nella pratica questo congiungimento si è prodotto raramente, o comunque a senso unico. Spesso gli antispecisti vanno a partecipare alle lotte femministe o per isans papier o altri, ma il reciproco non si attua: non abbiamo ancora visto in Francia degli antifascisti, per esempio, venire a sostenere delle azioni antispeciste, quando invece sarebbe logico, dal momento che lo specismo è sempre stato una molla fondamentale (così come il patriarcato) dei movimenti fascisti… Solo le persone che sono sia antispeciste che antifasciste, o antispeciste e femministe etc. arrivano (eventualmente) a muoversi… Da questo punto di vista, il congiungimento delle lotte è stato piuttosto uno scacco… anche se di fatto numerosi militanti antispecisti sono anarchici e/o femministi.
Qual è il futuro dell’antispecismo?
È una lotta che si sviluppa e che continuerà a svilupparsi in futuro per almeno due ragioni: da una parte perché è in sintonia con le “nuove” sensibilità riguardo agli animali non umani, alle quali fornisce una cornice razionale.
Dall’altra parte perché la collocazione generalmente non religiosa/mistica, o secondo alcuni — come me- addirittura anti-religiosa/mistica, le fornisce delle angolature di comprensione e di attacco radicali di queste piaghe mondiali che sono il razzismo e il sessismo o l’adultismo. Per non parlare ovviamente della religione stessa…
Come sarà una società non specista? Sarà necessariamente comunista o anarchica?
A mio parere, una società non specista può essere quasi di qualunque tipo; potrebbe essere una sorta di società buddhista di tipo tibetano, molto gerarchica (patriarcale, feudale, teocratica etc.), o anche una società induista (idem), o ancora una capitalista che cerca di preoccuparsi degli animali (un po’ come la società capitalista oggi dice di preoccuparsi degli umani del terzo mondo e fa discorsi di uguaglianza umana… che non hanno niente a che vedere con la realtà concreta, evidentemente!)
Il mondo che sogno io, invece, è un mondo dove tutte/i cercano di tener conto di tutte/i, e dove i rapporti non solo non sono più rapporti di dominio, sfruttamento ed oppressione, ma in più cessano di essere regolati da norme sociali, senza che l’idea di comunità (di totalità, società etc.) venga a intromettersi nelle relazioni che gli individui allacciano tra loro. In realtà, non si tratta più di una vera società, né di una comunità, ma di una cosa diversa, più eterogenea, che non si può più far rientrare in una totalità; e in realtà non è neanche necessariamente sempre anarchica o comunista.
Tu sei anche impegnato nelle edizioni tahin party, i cui libri esplorano tutti i rapporti di dominio, tra i quali l'”adultismo”, che hai menzionato spesso finora: è un argomento di cui in Italia non si parla, ma è anche questo un tema importante!
Sì, se ne discuteva in Francia negli anni ’70, ne parlavano i libertari e le femministe, ma ora non più… Viviamo davvero in un’epoca di reazione! Penso si tratti di un problema fondamentale e che è un pessimo segno il fatto che più nessuno se ne preoccupi. Il dominio sui bambini da parte degli adulti e delle istituzioni sociali è qualcosa che abbiamo subito tutti, che ci ha completamente formati e preparati alla nostra sottomissione da adulti; credo veramente che sia un problema generale, dal quale derivano molte altre cose…
In generale, con le edizioni tahin party abbiamo cercato di creare un media indipendente, a larga diffusione (comprese le grandi strutture commerciali dove, ahimé, si recano le persone che vogliamo raggiungere), incentrato sulla questione dell’uguaglianza; pubblichiamo materiale contro la politica francese in Africa ma anche sul femminismo radicale, sul dominio degli adulti sui bambini, su quello degli umani sugli animali, etc. Un filo conduttore è di fatto l’antinaturalismo: la denuncia dell’idea di Natura, che nella nostra epoca e nelle nostre società ha preso il posto di Dio. Non è più Dio che viene adorato, e che deve dettarci la sua volontà, si adora invece Natura e si ritiene che debba servirci da modello, che debba indicarci cosa è bene e cosa no etc. È implicito nella storia del razzismo: nella razza si individua la “natura” di un individuo (la sua verità!) e si cerca un’indicazione su come lo si può trattare… ugualmente, si ritiene che la nostra natura (o verità o essenza) consista nel genere sessuale, che deve mostrarci come dobbiamo agire su noi stessi e trattarci reciprocamente, a seconda che siamo “uomini” o “donne”… Si fa la stessa cosa con la nozione di specie, ritenuta ancora una volta designare la nostra natura… E rimettere in causa tutte queste “nature” significa rimettere in causa la natura delle cose, l’ordine naturale del mondo (nel quale non crediamo così come non crediamo in Dio), mettere l’equilibrio in pericolo… in pericolo di caos!!! Insomma, come in tutte le religioni: bisogna rispettare le norme, altrimenti si è contro natura, ed è la fine di tutto! Ovviamente, bisognerebbe parlarne meglio: è un argomento che è difficile affrontare in tre frasi, se non altro perché non è mai identificato come problema: oggi, tutti (o quasi) sono naturalisti senza saperlo, perché si tratta di una mistica che non ha un’istituzione corrispondente, che impregna la nostra cultura, la nostra etica, la nostra politica (in un senso purtroppo molto discriminatorio), ma non è mai espressa apertamente. Ed è questo il problema: per contraddirla, bisognerebbe che essa fosse espressa e questo lavoro resta in parte da fare… È soprattutto a questo che ci dedichiamo attualmente con le edizioni tahin party…
Ci sono molte persone che rifiutano di rimettere in causa la loro alimentazione per via dell'”ordine naturale”. Cosa ne pensi?
Molte persone, generalmente credenti, si lamentano del fatto che la nostra epoca è “materialista”, che si è perso il “sentimento del senso delle cose”, del sacro, del “rispetto dei valori eterni”… Tuttavia la gente è nella immensa maggioranza profondamente mistica: ci sono tutti quelli che credono all’umanità, che sono un’armata (che siano atei, islamici, cristiani o buddhisti) e ci sono tutti quelli che credono nella Natura; sono generalmente gli stessi, cioè, lo ripeto, quasi tutti. Soprattutto, l’attuale ideologia ufficiale mondiale, che non è nient’altro che l’umanismo, predica che il mondo ha un senso, che è organizzato, che consiste in un Ordine o in un Equilibrio, e che risponde al nome di Natura. E le diverse cose di questo mondo vedono assegnarsi dalla Natura una natura particolare, che è la loro programmazione interna ad occupare il proprio posto nel Grande Tutto, nella Totalità, nella Natura. La “Natura” deve essere rispettata, e le diverse nature delle cose non devono essere rimesse in questione. Non si sa perché, ma è così. Altrimenti, la Natura si vendica, dicono. Credevamo che Dio fosse morto, invece no, è resuscitato/a!!!
Io non credo in Dio per diverse ragioni (che sono appunto delle ragioni, cioè delle argomentazioni), e non voglio di certo finire per credere in Natura. Preferisco pensare da solo e, quando faccio qualcosa, preferisco riflettere alle mie motivazioni piuttosto che invocare il carattere divino o naturale di ciò che faccio.
La gente si rifugia molto volentieri dietro l'”argomento” che recita “è naturale” per giustificare ciò che fa, specialmente quando si tratta di dominio: il dominio patriarcale sembra naturale, così come il dominio schiavista nel corso dei secoli (finché non è stato “superato”). Anche mangiare carne sembra completamente naturale (“la prova, ci dicono, è che ‘gli animali’ si mangiano tra loro! “). Siamo sempre di più a dire: il naturale non esiste, è un’invenzione, così come il divino. Esiste solo ciò che è reale, e ciò che reale non ci dà lezioni né di morale né di altro.
Questa rimessa in questione dell’esistenza del naturale, molti non la capiscono. Tre secoli fa, tutta la popolazione non poteva neanche concepire che si potesse vivere senza l’idea di Dio: sembrava impossibile da immaginare! Ebbene, oggi noi diciamo che la Natura non esiste, che la differenza tra naturale ed artificiale non ha alcun senso, che niente è Natura ma che tutto è reale etc. Provate a capire…